«I Verdi voteranno no al Ceta, ma il problema sono i socialisti»
Intervista a Philippe Lamberts «Se le istituzioni democratiche non operano nell’interesse generale, non dobbiamo poi stupirci che molti cittadini vogliano provare altro che la democrazia», mette in guardia il presidente del Gruppo Verde all'Europarlamento
Intervista a Philippe Lamberts «Se le istituzioni democratiche non operano nell’interesse generale, non dobbiamo poi stupirci che molti cittadini vogliano provare altro che la democrazia», mette in guardia il presidente del Gruppo Verde all'Europarlamento
Con una lettera al premier canadese Justin Trudeau i Verdi europei annunciano il loro «no» al Ceta, il trattato di libero scambio fra Unione europea e Canada, durante il voto previsto per domani all’Eurocamera. Ne abbiamo parlato con il belga Philippe Lamberts, eurodeputato e co-presidente del Gruppo Verde/Alleanza libera europea, che da Bruxelles chiama a raccolta tutte le forze politiche di sinistra.
Ma non mancano critiche ai socialisti europei che voteranno a favore dell’accordo. A cui però Lamberts tende comunque una mano: «La sinistra può ripartire mettendo i temi della giustizia sociale al centro del dibattito».
Il Ceta è già approvato o ci saranno delle sorprese?
Ci vorrebbe un miracolo perché la famiglia socialista voti contro.
Ci sono delle negoziazioni in corso fra voi e i socialisti?
Ci incontreremo presto e ci andrò con gran piacere, poiché ci sono ancora dei socialisti che si possano chiamare tali. Prendiamo il caso della Francia: con la vittoria di Benoît Hamon è evidente che bisogna fare un’alleanza fra socialisti, sinistra radicale e verdi. E subito. A patto però che Hamon porti il partito socialista su posizioni anti-produttiviste, di giustizia sociale e di superamento della crescita. Ma quanti sono i partiti della famiglia socialista che sono sulla linea Hamon? È questa la domanda.
Nel 2017 alle elezioni in Germania, Francia e Olanda, potrebbe seguire un’ondata di referendum anti-euro. Cosa farà la sinistra?
La struttura istituzionale attuale è votata al fallimento e va cambiata. Ma chi pensa che la ricostruzione europea debba partire dalla distruzione dell’euro si sbaglia e incoraggia le forze nazionaliste. Bisogna cambiare le politiche d’austerità, ma bisogna farlo cambiando la maggioranza. Il mio appello alla sinistra euroscettica è di non nascondere dietro l’euro-scetticismo l’incapacità ad essere maggioranza. La sinistra può e deve tornare a dettare l’agenda.
Qual’è lo stato di salute delle istituzioni europee?
Diagnosticherei il sonnambulismo. Oggi i cittadini europei lanciano un appello al cambiamento. Ma sono messaggi ignorati dai dirigenti delle istituzioni europee. Questo spiega come mai i partiti d’estrema destra, fino a ieri minoritari, stiano crescendo.
In questo stato di crisi delle istituzioni, i cosiddetti populismi sono il sintomo o la causa?
Sono chiaramente il sintomo. Se le istituzioni democratiche non operano nell’interesse generale, non dobbiamo poi stupirci che molti cittadini vogliano provare altro che la democrazia. Ma soprattutto è il sintomo del distacco della classe dirigente rispetto alle problematiche e alle sfide della contemporaneità.
Come giudica l’operato del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker?
È proprio a lui che penso quando parlo di sonnambulismo. Ha perso il contatto con la realtà. E quando afferma che è lui il presidente dell’ultima possibilità, possiamo dire che sta realizzando la profezia che lo vuole per davvero l’ultimo presidente della Commissione europea.
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