Cultura

I sogni drogati del proletariato

Vite d'azzardo Un brano estratto da «Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte» di Karl Marx

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 29 agosto 2015

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La borghesia fuori del Parlamento non comprende come la borghesia all’interno del Parlamento possa perdere il suo tempo in risse così meschine e turbare la tranquillità per rivalità tanto miserabili col presidente. È sconcertata da una strategia che fa la pace in un momento in cui tutti aspettano la guerra, e attacca in un momento in cui tutti credono che la pace sia conclusa.

Il 20 dicembre Pascal Duprat interpellò il ministro degli interni sulla lotteria delle verghe d’oro. Questa lotteria era «figlia dell’Elisio». Bonaparte l’aveva messa al mondo insieme con i suoi fedeli e il prefetto di polizia Carlier l’aveva posta sotto la sua protezione ufficiale, benché la legge francese proibisca tutte le lotterie, ad eccezione delle estrazioni a scopo di beneficenza. Sette milioni di biglietti, a un franco l’uno, il cui ricavo avrebbe dovuto essere destinato al trasporto in California dei vagabondi di Parigi.

Da un lato si voleva che dei sogni dorati cacciassero i sogni socialisti del proletariato di Parigi; che il miraggio seducente del primo premio cacciasse il dottrinario diritto al lavoro. Gli operai di Parigi, naturalmente, non riconoscevano più nelle scintillanti verghe d’oro della California gli oscuri franchi che erano stati cavati loro dalle tasche. In sostanza però si trattava di una vera e propria truffa. I vagabondi che volevano scoprire le miniere d’oro della California senza muoversi da Parigi erano Bonaparte stesso e i suoi cavalieri della tavola rotonda rovinati dai debiti. I tre milioni accordati dall’Assemblea nazionale erano stati allegramente consumati; la cassa doveva essere riempita, in un modo o nell’altro. Invano Bonaparte aveva aperto una sottoscrizione pubblica per la costruzione di cosiddette cités ouvrières, e figurava egli stesso capo della sottoscrizione con una somma rilevante. I borghesi dal cuore duro attesero con diffidenza che egli versasse la somma che aveva sottoscritto, e poiché il versamento, com’è naturale, non ebbe luogo, la speculazione sui castelli in aria socialisti precipitò miseramente.

La lotteria delle verghe d’oro non ebbe miglior successo. Bonaparte e accoliti non si limitarono a intascare in parte la differenza tra i sette milioni e il valore delle verghe d’oro messe in lotteria; ma fabbricarono pure dei biglietti falsi; emisero per un sol numero dieci, quindici, e sino a venti biglietti. Una operazione finanziaria conforme allo spirito della Società del 10 dicembre! Qui l’Assemblea nazionale non aveva più davanti a sé il fittizio presidente della repubblica, ma Bonaparte in carne ed ossa. Qui essa poteva coglierlo sul fatto, non con la Costituzione, ma col code pénal.
Se essa rinviò l’interpellanza di Duprat e passò all’ordine del giorno, ciò non avvenne soltanto perché la proposta di Girardin di dichiararsi satisfait richiamava alla memoria del partito dell’ordine la propria corruzione sistematica.

Il borghese, e soprattutto il borghese gonfiato alla dignità di uomo di Stato, completa la sua volgarità pratica con una ridondanza teorica. Come uomo di Stato, al pari del potere dello Stato che gli sta di fronte, questo borghese diventa un essere superiore, che può essere combattuto solo con mezzi superiori, consacrati.

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