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I paesaggi di Marcello Argilli ne «L’altare nero»

Divano La rubrica su arte e società. A cura di Alberto Olivetti
Pubblicato 12 mesi faEdizione del 1 dicembre 2023

Gli scorci dei paesaggi prealpini con il crinale dei monti bianchi di neve, a contrasto di mutevoli cieli. I campi delle pianure pedemontane, disegnati nel primo verde della primavera che gemma, alimentati dall’avaro lavoro consentito in giorni, in cui solo le braccia dei vecchi e delle donne han potuto curare i coltivi. I sagrati deserti di silenziose parrocchie e le stradine antiche, strette, di borghi attorno ai quali, tra i boschi e sulle familiari colline, in improvvisi scontri, quando in pieno giorno quando a notte, crepitano le armi. Attutito il rimbombo, se i combattenti slontanano in affannose rincorse e inseguimenti e fughe. Giacciono i morti e gemono i feriti.

Paesaggi delineati con mano ferma, nitidi nel gelo, aperti ai primi tepori o in certe giornate invernali di pieno sole. E le notti. Le notti infide che gli uomini e le donne passano, chiusi nelle stanze chiuse, accorati, nel ripetersi degli stessi pensieri, con l’apprensione per gli affetti lontani che non danno notizia. Nelle case requisite, in armi, in provvisorie caserme, alla macchia, in attesa d’un ordine, d’un allarme. Ogni rumore è sospetto, e dormire è una maniera appena variata di vegliare: beati vigilantes. Paesaggi resi di vetro dalla guerra, nel trascorrere di ore che resistono al fluire delle luci delle albe e dei tramonti per scorrere tutte, da mesi ormai, affidate al ripetersi di comandi e di operazioni a minacciare la tua vita e della tua esistenza quotidiana fanno un assiduo scampare alla morte che, intorno a te, semina, da quattro anni ormai, «in terra e in mar».

Su questi sfondi corre la travolgente narrazione delle vicende d’un paracaduta dell’esercito della Repubblica sociale italiana nel corso dell’ultimo anno di guerra, in Piemonte, fino alla resa.

Certi brani di paesaggi, dunque, e altrettanto perfette le pagine che ne L’altare nero di Marcello Argilli (1926-2014) descrivono due grandi città – Torino e Milano – nei mesi di guerra, nell’inverno e nella primavera del 1944 e del 1945.

Con Gianni Rodari che gli fu maestro, Argilli risulta l’autore italiano di libri per la gioventù (romanzi, favole, poesie) forse più tradotto nel mondo (oltre l’Europa, in cinese, in giapponese, in arabo). Non pensato per la gioventù, L’altare nero, che esce postumo presso l’editore Bordeaux nel 2022, per l’elevatezza della scrittura, per il ritmo della narrazione, per l’analisi della figura del protagonista che muove l’intero racconto e ne fa un Bildungsroman, trova la sua giusta collocazione tra le più eminenti opere letterarie dedicate all’Italia in guerra. A fine lettura lo vedi bene accanto a I ventitre giorni della città di Alba, a Ultimo viene il corvo, a Banditi di Pietro Chiodi, ai romanzi di Flaiano e Berto.

Dicevo: grandi città sotto i bombardamenti, allora come oggi nel mondo. Leggo: «A Torino, ritrovare un’architettura cittadina fu un incoraggiamento. I pinnacoli e gli abbaini fitti sui tetti coronavano facciate di palazzi austeri, da rimpiangere di non risiedere in quell’ampio e composto respiro di vita, con negozi, tram, cinema, edicole tappezzate di giornali».

«Camminando per le lunghe strade dritte, lo sorprendevano palazzi con l’intonaco sbrecciato dalle schegge, o improvvise facciate assurde con le finestre senza più le imposte, aperte su rettangoli di cielo. Erano scheletri di edifici che le bombe degli aerei avevano mangiato dentro, anneriti dalla furia degli incendi, e i passanti vi camminavano sotto, come intimorite comparse di una tragedia»

«Era più limpido e asciutto il freddo della neve del Canavese caduta ai primi di gennaio. A Milano, invece, era una poltiglia sporca, e anche la luce diversa, atona d’un inverno sordo e pressante. Le facciate dei palazzi tagliavano fette di cielo opaco e l’aria umida disturbava i polmoni. Ma era Milano. Spariti i tram e le poche auto in circolazione, i rari passanti scivolavano lungo i muri, affrettandosi a chiudersi in casa. Pattuglie di militi sbucavano dall’ombra con le armi alla mano, guardinghi a inoltrarsi nel silenzio delle strade. I palazzi, incupiti dalle finestre serrate, sembravano disabitati, ma dietro le imposte si intuivano luci segrete, calore di ambienti, i milanesi rintanati».

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