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I due volti di Vienna

I  due volti di Vienna

Austria Sei settimane dopo l’arrivo dei decine di migliaia di profughi, la capitale è divisa tra i volontari che si spendono per organizzare l’accoglienza e il ministero degli Interni che pensa a una forma di asilo temporaneo

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 20 ottobre 2015

«Welcome refugees, qui siete al sicuro …» rassicurano i manifesti del comune di Vienna ancora affissi nei punti di arrivo del Westbahnhof, stazione ovest, in arabo, farsi e inglese, spiegando i servizi a disposizione. L’altra faccia del paese la mostra il ministero degli Interni di Johanna Mikl Leitner, partito popolare (Oevp) che i rifugiati li pretende senzatetto, mettendo sotto ipoteca le storie happy che da qui potresti raccontare. Con una netta linea pro-rifugiati il partito socialdemocratico (Spoe) del sindaco Michael Haeupl ha vinto ancora alle comunali viennesi dell’11 ottobre sullo sfidante razzista H.C. Strache della Fpoe che ha raggiunto comunque il suo migliore risultato.
Sabato sono arrivati al confine austriaco di Nickelsdorf 4.155 rifugiati, gli ultimi che hanno attraversato l’Ungheria recintata ora anche sul versante croato. Dall’apertura dei confini lungo la rotta balcanica hanno attraversato lo snodo per Vienna 270mila persone. Come funziona l’accoglienza dopo sei settimane di flusso continuo? Concretamente la città cosa fa? Abbiamo tentato una ricognizione di luoghi e soggetti per capirlo.

Westbahnhof
Stazione ovest. Postazione della Caritas. Flusso ininterrotto di gente che consegna bustoni di banane, acqua pane …. Ma è calato dicono, non si fa più la coda per donare. Il deposito di cibo è ben fornito, prima traboccava. «Ce la facciamo comunque a rifornire di cibo la gente con le sole donazioni». Tonnellate ogni giorno di vestiti che vanno messi in ordine. Volontari che continuano ad offrirsi. Frotte di instancabili interpreti, qui puoi studiare dal vivo le ondate di migrazioni di Vienna. Ma schizzano via, sono pregati via altoparlante di recarsi al binario 1. Alle 18 parte un treno speciale per Salisburgo, vicino al confine con la Germania, oltre i treni speciali non possono andare. Ecco il binario pieno di uomini, donne, tanti bambini in attesa di salire. Clima disteso, senza ressa particolare, tutti sanno che la mattina ci sarà un altro treno. Scopriamo un gruppo di curdi siriani, peshmerga da Kamisha, lì raccontano, sono stati sequestrati tremila donne e bambini. «Non ce la facciamo più, abbiamo bisogno di tranquillità, di una tregua. Poi torneremo in Siria, per prendere i familiari e continuare a combattere». Il viaggio fino a qui? Il tratto peggiore per tutti è sempre l’ Ungheria «polizia e militari che ti urlano adosso. pensi che in ogni momento ti bastonano» dice Ismail, 17 anni. Dure le camminate in Croazia sotto la pioggia, le notti senza neanche una tenda. Una famiglia di Damasco Hamman, Waela la moglie, i due bambini Lamar e Nerez. Lui lavorava in un industria di automobili distrutta dalla guerra. «In Ungheria ci trattavano come animali, ci hanno rinchiusi in un treno fermo senza farci uscire per 12 ore, poi altre sei ore in un autobus tutto bagnato, stipati in mille persone e senza mai darci alcun cibo». Per loro stasera in treno non c’è più posto. Non vengono stipati al più non posso, si viaggia solo seduti. Dormiranno qui una seconda notte. Più tardi arrivano gli autobus speciali dell’esercito, delle poste o dei trasporti comunali che ogni giorno portano in alloggi di transito i rifugiati rimasti nelle stazioni. Sono circa 7mila posti letto, reperiti in spazi dismessi, castelli compresi, appositamente allestiti.

Hauptbahnhof, la nuova stazione
In un area conquistata tutta sua ecco train of hope , una struttura straordinaria autogestita che ti avvolge subito col suo flow di empatia e spirito occupy. È cominciato con un hashtag, #trainofhope, lanciato sull’onda della manifestazione Mensch sein in Oesterreich, essere persone in Austria del 30 agosto che coincideva col primo treno giunto dall’Ungheria. Ashley Winkler, graphic designer, una delle coordinatrici è attivista della prima ora. Si è licenziata per continuare il lavoro qui. «E’ più importante aiutare, se solo penso cosa hanno sofferto le persone che arrivano qui» dice. Tanto coinvolta che ha dimenticato di mangiare, dimagrendo otto chili. «Ora badiamo di più anche a noi stessi, gli psicologi che seguono i rifugiati adesso si occupano anche di noi». Anche Dominik si è licenziato, faceva il somelier. «Qui ho conosciuto cose di me stesso che non conoscevo, anche degli altri e del mondo» spiega. Quando ha cominciato ha scritto ai suoi nuovi compagni «vorrei sposarvi tutti». Qui, tra quelli che aiutano, che fuggono o che traducono ti si apre un microcosmo globale di narrazioni infinite. Ecco il tavolo con i pasti caldi, un pentolone con 100 chili di riso al curry, accanto un altro con 100 litri di zuppa di lenticchie, cucinati nel tempio dei sikh. «Siamo stanchi ma bisogna aiutare» dice Alladin barba lunghissima e turbante bianco. Il posto è aperto sempre, 24 ore su 24. Banchi coi vestiti, articoli igienici, un ufficio missing persons, social media, desk centrale coordinato con ong e istituzioni, una sala giochi per bambini. Un «lazzaretto” fornito di defibrillatore e risonanza magnetica, sempre autogestito, le visite mediche sono continue, molta gente non dorme in un letto da 20 giorni, non poteva lavarsi, addosso vestiti troppo leggeri, i piedi martoriati. Parliamo con gente stanca seduta per terra, una famiglia curda di Mosul, un gruppo di ragazzi afghani giovanissimi che prendono tutto a ridere.

Casa per richiedenti asilo
È una struttura temporanea, prima è stata solo alloggio di transito. «Non sappiamo come chiamarla, la situazione è fluida in continuo movimento, ma siamo preparati a tutto» dice Alexander Troebinger della Croce Rossa, che gestisce questo posto per conto del comune. Siamo nella Lindengasse, settimo distretto, quartiere governato dai Verdi. Il cibo è portato qui dall’esercito. «E’ molto buono, possiamo mangiare in continuazione e quanto vogliamo» dicono gli ospiti che troviamo appunto mangiando. «Chiediamo asilo qui, siamo due famiglie, eravamo stanchi, l’Austria è un posto molto buono, perché allora proseguire per la Germania?» dice Mustafa. Faceva il conducente di autobus a Bagdad. Con lui Sheherasad la moglie, Isben la figlia e Lativa, l’anziana madre. Emir, 22 anni anche lui di Bagdad aveva uno shop di tatoo «ti uccidiamo se non lo chiudi», Basha, cuoco ventenne «o ci segui o ti uccidiamo» lo minacciava la mafia, racconta. Non conoscono il volantino dissuasivo che distribuisce il ministero degli Interni. In sola lingua tedesca scrive: «E’ impossibile assegnarle un posto di presa in carica dello stato, ne predisporre trasporti gratuiti verso strutture statali per rifugiati o verso il centro di prima accoglienza». «Il ministero degli interni non fa il proprio dovere e il proprio compito – si indigna il delegato per i rifugiati del comune di Vienna Peter Hacker -, a questa inadempienza dobbiamo supplire noi».

Alloggio nella Bendelgasse
È per richiedenti asilo, distretto Meidling. Incontriamo Haysal, 37 anni insegnante di inglese e infermiere specializzato. Di Hashad, città «molto religiosa» vicina a Teheran, lui al contrario ha abbandonato l’islam, è senza barba e gira in maglietta, eresie che si pagano con la morte. Né si può prendere moglie da areligioso. Per fuggire ha pagato 2700 euro ai traghettatori spariti appena entrati in Ungheria, dalla Serbia, tagliando il filo spinato. Gli occhi di quest’uomo alto e ben piazzato si riempiono di lacrime. «Mi sono sentito trattato come un animale, anziani e bambini che chiedevano aiuto invano, la polizia ci ha costretti a camminare a piedi 70 chilometri fino a Szeged. Durante il tragitto in barca dalla Turchia a Mitilini ne abbiamo visto un altra che si capovolgeva». E’ entusiasta di Vienna «In stazione a distribuire bottiglie d’acqua c’era anche un professore universitario, un ingegnere, una cosa impensabile da noi». Così ha deciso di chiedere asilo qui. L’avrà? Il ministero degli interni già molto restrittivo sta elaborando una nuova formula di asilo a termine, incerta ancora la posizione dell’alleato di governo socialdemocratico del cancelliere Werner Faymann.

Centro crisi per bambini
Drehscheibe, turntable in inglese, centro crisi speciale per bambini del Comune che si occupa di bambini soli, rifugiati o migranti. (Ci troviamo a Simmering, quartiere popolare ex-rosso passato alla Fpoe). Il posto è tutto rinnovato, spazi generosi, pareti dipinti dai bambini coll’aiuto di studenti dell’Accademia di Belle Arti. «Ogni giorno arrivano da noi due bambini trovati in giro soli, la maggioranza è dell’Afghanistan» spiega la direttrice del centro Karin Hirschl. I bambini rimangono qui fino a tre mesi, il tempo necessario per rimetterli in sesto e chiarire come e dove inserirli: in piccole comunità alloggio o presso famiglie. «Due fratelli soli di 16 e 8 anni volevano per forza andare in Germania, era l’impegno preso dal più grande con la sua famiglia. Li abbiamo convinti di rimanere, il più piccolo era troppo debole e malato per proseguire». La Drehscheibe si è fatto carico anche dei minori del discusso centro di prima accoglienza di Traiskirchen , seguendo la direttiva del sindaco di Vienna Michael Haeupl, supplendo anche qui all’incapacità del ministero degli Interni di garantire ai minori non accompagnati un trattamento adeguato.
Speriamo che i 100 esperti austriaci promessi per l’istallazione del famoso hotspot in Grecia non siano scelti dalla ministra Johanna Mikl Leitner.

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