I comitati ambientalisti veneti esultano: «Chi ci ha avvelenato paghi»
Eco-reati Quindici manager di multinazionali andranno a processo per disastro doloso e inquinamento ambientale
Eco-reati Quindici manager di multinazionali andranno a processo per disastro doloso e inquinamento ambientale
Il rinvio a giudizio dei quindici manager della Miteni, l’azienda vicentina responsabile di aver avvelenato con i Pfas le acque di mezzo Veneto, è stato accolto con grande entusiasmo dalle 226 tra associazioni ambientaliste, comitati cittadini e pubbliche amministrazioni, che si erano costituite parte civile e che, per tutto lo scorso fine settimana hanno assediato il tribunale con un presidio permanente che si è concluso alla lettura della sentenza.
«Stiamo piangendo di gioia – ha commentato Patrizia Zuccato delle Mamme No Pfas – Temevamo che ancora una volta il potere e il denaro mettessero tutto a tacere, ma questa sentenza ci apre una strada. Sappiamo che sarà tutta in salita ma ora è una strada aperta e vi assicuro che la percorreremo sono in fondo». Anche Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto, parla di «una prima grande vittoria». «Ci aspettiamo che venga applicato il principio che sta alla base degli ecoreati: chi inquina paga. La difesa delle falde e della salute deve stare al centro del Piano nazionale di ripresa».
La decisione del giudice per l’udienza preliminare Roberto Venditti ha accolto in toto l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri vicentini Barbara De Munari e Hans Roderich Blattner. I quindici manager sono stati rinviati a giudizio con le accuse di disastro doloso, avvelenamento delle acque, inquinamento ambientale ed anche di bancarotta fraudolenta per il fallimento della società Miteni nel 2018. Si tratta di quindici dirigenti d’azienda di rilevanza internazionale che fanno riferimento a importati multinazionali come la Mitsubishi e l’Icig, proprietarie della Miteni negli ultimi decenni in cui l’avvelenamento è stato più pesante per l’utilizzo di Pfas di ultima generazione, come GenX e C6O4.
Dunque, il primo luglio prossimo in Corte d’Assise ci sarà il più grande processo per crimini ambientali mai svoltosi nel Veneto, e probabilmente anche in Italia, sia per la pericolosità dei materiali versati che per l’ampiezza dell’area interessata dall’inquinamento e che investe le provincie di Vicenza, Verona, Padova. Mezzo Veneto, per l’appunto. Senza contare che l’area inquinata si sta tutt’ora espandendo e che la presenza di Pfas è stata rilevata recentemente anche nella laguna veneziana. Solo nei prossimi anni riusciremo a quantificare con precisione l’impatto causato dallo sversamento di queste molecole killer nelle falde acquifere. Gli effetti sulla salute dei cittadini che hanno bevuto l’acqua inquinata o che si sono nutriti di verdure locali è già testimoniato da varie ricerche mediche che hanno riscontrato un forte aumento di patologie come tumori ai reni e ai testicoli, coliti ulcerose sino a ictus, osteoporosi precoce, diabete, Alzheimer. I Pfas colpiscono in particolare i bambini e le donne in stato di gravidanza causando aborti e malformazioni nei feti. Un disastro ambientale e sociale le cui conseguenze le pagheremo anche negli anni a venire, in quanto questi acidi perfluoroacrilici agiscono come una sorta di bomba ad orologeria. Una «pandemia chimica» che si accumula nel metabolismo e i cui effetti possono manifestarsi anche a decenni di distanza.
La soddisfazione per questa primo pronunciamento che riconosce le pesanti responsabilità della Miteni non riuscirà ad allontanare la paura di ammalarsi in un prossimo futuro. Così come non diminuirà i disagi di chi non potrà ancora bere l’acqua del rubinetto, continuerà a guardare con sospetto le verdure in vendita nei mercati ed a rinunciare a coltivare l’orto sotto casa. Allo stesso mmodo, il processo non può rimediare i ritardi di una amministrazione regionale che per tanti anni si è dimostrata sorda alle denunce dei residenti che sin dai primi anni del nuovo secolo chiedevano come mai nei prati di Trissino le margherite nascessero con due corolle o con i petali raggrinziti. Solo nel 2013, l’Arpa ha cominciato a studiare il fenomeno, riscontrando ufficialmente la presenza di Pfas nelle falde. Per il rinvio a giudizio, ci sono voluti altri 8 anni. I tempi della giustizia non sono mai quelli della salute e dell’ambiente. Tanto più che nella maggioranza che guida la Regione, di bonifiche ancora non se ne parla.
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