«Quest’anima perduta di un pescatore deve essere tenuta a distanza dalla società rispettabile. Che i capitani sentano, che gli studiosi imparino: coprendo il peccato, partecipano del disprezzo della gente!».
Così parla un altro pescatore, Boles, di rigida fede religiosa, del suo concittadino Peter Grimes. Pescatore anche lui, sul quale si appuntano i sospetti di tanta gente del villaggio. Forse ha ucciso un suo giovane mozzo. O non si è preoccupato abbastanza di salvarlo dalla furia del mare. E c’è chi pensa che la tragedia segua una passione proibita e spregevole.
Alla veemente condanna di Boles risponde la “zietta” che gestisce la locanda “Il cinghiale”: «Io ho il mio lavoro. Che i preti imparino: l’inferno può essere infuocato, ma la taverna non brucerà».
Guardando e ascoltando al Teatro dell’Opera di Roma la prima e opera di Benjamin Britten (ne ha scritto qui Dino Villatico), che eseguita nel 1945, subito dopo la fine della guerra, ottenne un successo enorme, non potevo fare a meno di pensare come i personaggi, i sentimenti e gli aspri conflitti che vi si rappresentano ci parlino ancora attuali in questo presente in quietante.
Nel dialogo citato già si disegnano l’ambiente e le tensioni che porteranno al suicidio del protagonista. Una comunità pronta a riconoscere nel “diverso” Grimes il capro espiatorio, il colpevole di ciò che non va nelle vite di ognuno. La mentalità è impregnata di maschilismo ipocrita. Ci si erge a giudici dell’alieno, dell’”outsider”, e si cerca consolazione nei molti bicchieri di gin al “Cinghiale”, con il desiderio di possesso stuzzicato dalle due avvenenti “nipoti” della “zietta”.
Ma la descrizione dei caratteri di Britten non si adagia certo nel semplicismo di contrapporre i “cattivi” al “buono” della storia.
Grimes è un solitario alienato, che non appare responsabile delle colpe che gli vengono addebitate. Ma quando i personaggi che gli sono più vicini lo aiutano, anche affidandogli nuovamente un ragazzo che possa sostenerlo nel suo pericoloso mestiere, formula molto maldestramente il desiderio e il progetto di proteggerlo e di conquistare l’amore e la cura di Ellen, la vedova e maestra di scuola della quale è invaghito.
Quando lei insiste nel consigliargli più affetto per il ragazzino non lo sopporta e reagisce con violenza.
Sullo sfondo il pericolo sempre incombente della tempesta marina. Una violenza della natura che condiziona costantemente la vita della comunità.
Verrebbe da dire che dopo quasi un secolo – un secolo attraversato da cambiamenti sociali e tecnologici che vengono additati in ogni momento della giornata come gli araldi di un mondo totalmente nuovo, inquietante per molti versi, ma ricco di promesse mirabolanti – in realtà le passioni che determinano le nostre vite siano più o meno le stesse. La politica per ora vincente in questo paese, e in tanta parte del globo, così come quella che rischia di vincere tra poco nella “più grande democrazia del mondo” – dove quest’opera fu composta, all’ombra del progressismo roosveltiano da un omosessuale pacifista – si afferma facendo leva su sentimenti popolari molto simili a quelli prevalenti nel paesello dei pescatori di Peter Grimes.
Quanto alla musica ho letto in Sebald una sua incerta citazione di Freud, secondo cui «il più profondo segreto della musica risiede in un gesto di difesa dalla paranoia, e che noi facciamo musica per costruire un argine, così da non essere sommersi dagli orrori della realtà». Penso che non sia “solo” questo. E non è quello che mi ha detto la musica di Britten.
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