Visioni

La solitudine di «Peter Grimes» nella società malvagia

La solitudine di «Peter Grimes» nella società malvagia«Peter Grimes» all’Opera di Roma – foto di Fabrizio Sansoni

In scena Grande successo per l'opera di Benjamin Britten a Roma, con la sorprendente regia di Deborah Warner e la direzione di Michele Mariotti. Repliche al Teatro dell'opera fino al 19 ottobre

Pubblicato circa 7 ore faEdizione del 13 ottobre 2024

All’inizio appare sul fondale una barca sospesa. Nel secondo atto la barca è interrata nella sabbia, sulla riva. Nel terzo scompare, e il fondale è una distesa luminosa, il mare, nel quale Peter Grimes fa naufragare la propria barca. Ma non si vede. Si è vista invece scomparire, affondare, piano piano, la sua figura, che scende via via, in basso, sotto il livello della scena. Il capitano Balstrode (uno splendido Simon Keenlyside), che ha consigliato Grimes di affondare la sua barca, si è ascoltato cantare: «L’orrore che spezza un cuore / spezza tutti i cuori». Sta qui il nodo della vicenda – che la regista Deborah Warner coglie con quella lucidità che le è propria, e che avevamo già ammirato nel Billy Budd del 2018, sempre al Teatro dell’Opera di Roma.

Britten porta sulla scena la solitudine di un uomo perseguitato, oppresso, psichicamente violato, perché diverso dagli altri: il suo Peter Grimes, nel 1945, già condensava tutti i temi e le conseguenti riflessioni che percorrono il suo teatro, dove non ci sono veri malvagi come non ci sono veri buoni, la crudeltà essendo anzi un presupposto intrinseco al tessuto connettivo sul quale si fondano le società, intriso di paura, invidia, diffidenza per chi non si adegua alle regole. Se si ha la fortuna di ritrovarsi tra i buoni, anche questa è una diversità che distingue dalla massa, ma Britten bandisce dalle sue partiture l’innocenza.

Omosessuale (in un periodo in cui in Inghilterra era un reato) e pacifista, il musicista inglese vede nella guerra l’esplosione finale degli istinti sociali: War Requiem è la partitura che dedica a questa idea. In Peter Grimes, invece, la violenza si esprime nella persecuzione di cui un’intera comunità, che – fatta eccezione per una donna, la perspicace e compassionevole Ellen – si rende colpevole nei confronti dell’infelice pescatore. È un’opera desolata, che non lascia intravedere altra uscita dalla disperazione se non il suicidio. La messa in scena di Warner, con le sue luci fredde, gli spaccati appena suggeriti di un villaggio di pescatori (scene di Michael Levine) e i costumi realistici (di Luis F. Carvalho), la recitazione naturale di tutti, anche del coro, rende con efficacia proprio tale desolazione.

STUPENDA la figura del giovane sospeso in aria, che alludendo a tutte le vittime, di tutte le infanzie e le giovinezze violate, sembra precipitare sulla scena, e tuttavia resta sollevato e oscilla avanti e indietro, per adagiarsi solo alla fine sul tavolato e spirare. E in apertura del terzo atto, quando Peter Grimes accarezza il piccolo mozzo che si è sfracellato, e lo avvolge nella rete – «Il primo morì, semplicemente morì…L’altro scivolò, e morì… Circostanze fortuite…L’acqua si berrà i suoi dispiaceri – i miei dispiaceri – sino ad asciugarli e la marea girerà» – suscita quel senso di pietà inconsolabile che è il senso profondo di tutta la musica di Britten.
La regia teatrale di Warner, così visionaria e precisa al tempo stesso, viene fatta propria con straordinaria partecipazione da tutta la compagnia: com’è nella tradizione inglese, il teatro è anzitutto teatro, sempre, che sia in versi, in prosa, o cantato. Ammirevoli tutti, e non si può non commuoversi per la complessità con cui Allan Clayton disegna la figura di Grimes e per la semplicità con cui Sophie Bevan restituisce quella, apparentemente dimessa, di Ellen. Quanto al direttore, Michele Mariotti, la sua interpretazione è penetrante e appassionata, ma troppo: la sua è una lettura quasi espressionistica, laddove un maggiore distacco, e un maggior equilibrio sarebbero stati più desiderabili.

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