Internazionale

I bambini sudanesi che fuggono dal Cairo

I bambini sudanesi  che fuggono dal CairoGiovani migranti in fuga dall'Egitto

Migranti Nella scuola di Sakakini, tra i piccoli profughi del Darfur. L’ascesa dei Fratelli musulmani ha reso la vita impossibile alle minoranze, che ora scappano dal paese

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 2 luglio 2013

L’ascesa dei Fratelli musulmani ha reso la vita impossibile alle minoranze in Egitto. Quattro sciiti sono stati uccisi a Giza pochi giorni prima dell’anniversario dell’elezione di Morsi. La minoranza sufi viene continuamente discriminata, subisce incendi di mausolei e accuse di blasfemia. Mentre i cristiani copti hanno lasciato in gran numero il paese riparando negli Stati uniti e nei paesi europei. Molti di loro raccontano che alcune ambasciate, come quella olandese, stanno favorendo la diaspora cristiana per questioni umanitarie. Quando la crisi diventa incandescente come in queste ore, l’odio poi si estende a tutti gli stranieri, descritti come spie o fomentatori di instabilità. Questo è avvenuto anche lo scorso venerdì causando l’accoltellamento di un giovane insegnate americano e la violenza subita da una giornalista olandese.

Tra le vulnerabili comunità che negli ultimi decenni avevano trovato un rifugio sicuro al Cairo, ci sono i sudanesi del Darfur. La più grande scuola che raccoglie bambini sudanesi si trova nell’antico quartiere di Abbasseya in piazza Sakakini al Cairo. Un lussuoso palazzo in stile belgiki, costruito dai francesi alla fine dell’Ottocento, occupa l’intera piazza dove si affollano macchine polverose, venditori ambulanti e i mendicanti che vivono in strada. Poco più avanti si aprono i cancelli della chiesa Qalb el-Moqadem, dove giocano decine e decine di bambini e bambine nerissimi, dai capelli ricci.

Ci accoglie padre Cosimo all’ingresso della scuola. Sono 700 gli studenti che affollano queste aule, soprattutto rifugiati, dall’asilo alle superiori seguono il programma ministeriale sudanese perché molti vorrebbero rientrare a Khartoum o nel Darfur. Padre Cosimo ha quasi dimenticato l’italiano, si è trasferito nel 1966 da Bari al Libano e nel 1968 è arrivato in Egitto. «Non c’era niente la chiesa, i saloni sono stati costruiti pietra su pietra all’arrivo dei primi profughi sudanesi. Abbiamo poi ristrutturato la casa che ora accoglie i religiosi. Era un luogo minuscolo allargato per fare spazio alle classi».

In realtà, il percorso da casa a scuola per questi bambini è diventato sempre più accidentato dopo le rivolte del 2011. Solo qualche giorno fa un piccolo sudanese è arrivato. «Lo hanno minacciato, lui ha tentato di fuggire. Lo abbiamo visto correre verso l’ingresso della scuola con l’uniforme insanguinata», rivela Mariam l’insegnante di matematica. «Questo rende tutti i bambini nervosi e deconcentrati, non vogliono neppure più leggere, sembrano impauriti», aggiunge. Si tratta per il momento di episodi isolati, che rivelano il clima di odio settario diffuso in Egitto in seguito alle rivolte e fomentato dall’assenza di polizia.

«Abbiamo sempre partecipato alla lotta degli egiziani, scendendo in piazza per difendere i diritti di tutti. Certo non possiamo accettare un uso esteso della legge islamica, favorito dalla nuova Costituzione. Lo scontro viene così fomentato dalla Fratellanza», denuncia padre Cosimo. Il religioso critica la presenza massiccia di uomini armati che rende precaria la sicurezza per strada.
Attraversando il cortile, dove è in corso una partita di calcio con un pallone improvvisato, si arriva alle classi. Incontriamo nel suo ufficio il direttore della scuola Botros Ambros Tougon. Assicura di puntare tutto sull’educazione e l’integrazione dei bambini. «Sono per la maggior parte figli di immigrati sudanesi che vivono nei nuovi quartieri di Medinat Nassr, Arb el-Nour e Maadi. Arrivano dal Darfur, molti sono nubiani. Dopo la guerra i numeri sono iniziati a salire. Sono venuti qui perché altrimenti non avrebbero potuto studiare», inizia Botros. A Sakakini operano il Programma alimentare mondiale, la Caritas Masry e il Catholic Relief Service, finanziando anche progetti di formazione e inserimento lavorativo. Ma queste iniziative non bastano a calmare gli animi. E con i Fratelli Musulmani al potere le discriminazioni sono aumentate.

Ma i bambini di questa scuola sono due volte colpiti dalla discriminazione. Nell’ottobre 2011 erano circa 44mila i rifugiati riconosciuti dalle Nazioni Unite in Egitto, di questi quasi 25mila erano provenienti dal Sud Sudan. Fino agli anni Novanta, i sudanesi non erano considerati come rifugiati, ma equiparati agli egiziani per storia e tradizione. Da allora e con l’avvento della guerra civile sudanese, il clima è mutato.

Molti dei genitori di questi bambini hanno lasciato il paese quando è arrivato al potere Omar al-Bashir nel 1989, l’anno in cui il governo islamista del nord impose la sharia (legge islamica). Le persecuzioni religiose in Sudan hanno fatto triplicare il numero di sud sudanesi che hanno cercato riparo al Cairo. Ma dal luglio del 2011, il Sud Sudan è diventato uno stato indipendente da Khartoum. Da quel giorno e con le tensioni settarie in corso in Egitto, tanti rifugiati sudanesi di Sakakini hanno tentato di fare ritorno al loro paese.

«Molti affrontano un viaggio complicatissimo, estenuante, attraverso i boschi dell’area di confine contesa», incalza Botros. Padre Cosimo sembra ormai abituato a benedire le famiglie e i giovani che hanno deciso di lasciare il Cairo.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento