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I 5S dimenticano il piano per smantellare le trivelle

I 5S dimenticano il piano per smantellare le trivelle – Attilio Cristini

La denuncia Greenpeace, Legambiente e Wwf manifestano al Mise: c'è un programma rimasto nei cassetti dei ministeri per la dismissione delle vecchie piattaforme. Va fatto partire entro il 30 giugno

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 21 giugno 2019

Da oltre sei mesi esiste un «Programma italiano di attività per le dismissioni di piattaforme offshore» per l’estrazione di petrolio e gas, ma fino a ieri il testo è rimasto chiuso nei cassetti dei ministeri dello Sviluppo economico, dell’Ambiente e dei Beni culturali, guidati da Luigi Di Maio, Sergio Costa e Alberto Bonisoli, tutti in quota M5S.

A renderlo pubblico, manifestando ieri mattina a Roma di fronte alla sede del Mise, sono stati Greenpeace, Legambiente e Wwf: «Nell’incapacità dei ministeri di decidere ed essere conseguenti, dopo due anni di serrato confronto e conoscendo l’elaborato finale dal dicembre 2018, ci assumiamo la responsabilità di tirare fuori le carte di un piano di decommissioning di 34 impianti offshore (25 piattaforme, 8 teste di pozzo sottomarine, 1 cluster), 27 dei quali ubicati nella fascia di interdizione delle 12 miglia», spiegano le tre associazioni. «Il confronto è iniziato dopo il referendum sulle trivelle (aprile 2016, ndr), le nostre associazioni avevamo contribuito alla stesura delle linee guida, i criteri per individuare gli impianti da smantellare, e quindi a stendere l’elenco delle strutture da avviare a dismissione» racconta al manifesto Andrea Minutolo, geologo, responsabile scientifico di Legambiente, presente al presidio sotto il Mise.

Il Programma è frutto di un lavoro che ha coinvolto Università, enti di ricerca, le associazioni ambientaliste e naturalmente Assomineraria, che rappresenta gli interessi dell’industria petrolifera. Erano d’accordo anche Eni ed Edison, i gruppi titolari di tutti gli impianti elencati negli allegati, da «Ada 3» a «Vongola Mare 1». Le associazioni hanno ripetutamente e inutilmente chiesto in questi mesi di rendere pubblico il piano, anche in considerazione dell’approssimarsi della scadenza del 30 giugno, quando il ministero dello Sviluppo dovrà procedere con la dichiarazione di dismissione mineraria prevista dal Decreto ministeriale del 15 febbraio 2019.

«Il ministero sia coerente con gli impegni presi ed entro fine mese decida di avviare subito la procedura di dismissione dei primi 22 impianti e, al massimo nei prossimi due anni, degli altri 12» dicono le associazioni. Nell’elenco ci sono impianti mai entrati in produzione, non produttivi da almeno 10 anni o che non erogano gas o petrolio da almeno un quinquennio: «Relitti industriali pericolosi per la navigazione e per l’ambiente» secondo Greenpeace, Legambiente e Wwf.

I due allegati individuano 29 impianti nel tratto di mare tra Veneto e Abruzzo, due davanti alla Puglia, uno davanti a Crotone e due nel Canale di Sicilia. Dei 34 impianti, 25 sono dell’Eni (73,4%) e 9 di Edison (26,6). Le associazioni ricordano anche che il 50% dei 34 impianti individuati dopo due anni di trattativa non hanno mai avuto una Valutazione di impatto ambientale, perché autorizzati prima del 1986, anno in cui la Via entrò in vigore. Tra questi impianti, 4 piattaforme hanno 50 anni o più (Porto Corsini Mwa, San Giorgio a Mare 3, Santo Stefano a Mare 1.9, Santo Stefano a Mare 3.7), 4 più di 40 (Armida 1, Diana, San Giorgio a Mare C, Santo Stefano Mare 4), tutte localizzate nel tratto di mare tra Veneto e Abruzzo, e ben 13 (il 38,2%) tra i 30 e 40 anni. Dei 34 impianti ben 27 sono localizzati nella fascia di interdizione a nuove attività offshore istituita nel 2013 a tutela delle acque territoriali e degli ambienti costieri.

La mancata pubblicazione del documento è probabilmente legata al fatto che Assomineraria, che pure l’aveva condiviso, non l’ha sottoscritto, in segno di protesta dopo la moratoria di 18 mesi sui procedimenti autorizzativi relativi a prospezione e ricerca di idrocarburi, voluta dal ministro Costa a gennaio 2019. Ma entro il 30 giugno «il Mise dovrebbe ricevere dalle azienda un primo elenco delle piattaforma da dismettere, un processo che può richiedere tra i 5 e i 10 anni – spiega Minutolo -: le strutture sono vecchie, pericolose, e l’Italia dovrebbe dare un segnale concreto. Verso un’uscita dalle fonti fossili».

Dopo il presidio sotto le finestre del suo ministero, Di Maio non è intervenuto: le trivelle facevano comodo al M5S di lotta, non a quello di governo.

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