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I 5 Stelle tentati di uscire dal governo. Domani Beppe Grillo arriva a Roma

I 5 Stelle tentati di uscire dal governo. Domani Beppe Grillo arriva a RomaGiuseppe Conte e Beppe Grillo

Armi e bagagli Smottamenti dopo la scissione

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 26 giugno 2022

Esiste un piano inclinato che porterà il Movimento 5 Stelle a uscire dalla maggioranza di governo? In molti cominciano a sospettarlo.

Giuseppe Conte non ha potuto rompere già sulla risoluzione per l’Ucraina perché avrebbe significato dar ragione a Luigi Di Maio. Ma c’è voluta meno di una settimana per capire che rischia di trovarsi schiacciato tra l’incudine dell’agenda di governo e il martello dei pasdaran di Draghi del partito di Di Maio. Cioè di non incassare i dividendi politici garantiti dalla maggioranza e al tempo stesso di privarsi della libertà di azione dell’opposizione.

I primi scogli sono dietro l’angolo. Venerdì, ad esempio, il decreto aiuti arriva alla Camera. Contiene diverse misure anti-crisi che valgono qualche miliardo e che il M5S vorrebbe intestarsi, ma si porta appresso anche due questioni spinose, ereditate dai conflitti dentro la maggioranza degli ultimi mesi. C’è la norma che concede poteri speciali sulla gestione dei rifiuti al sindaco di Roma. È stata pensata per facilitare il più possibile la costruzione del mega-inceneritore, ma non cita espressamente la necessità dell’impianto, dunque le colombe grilline sperano che anche con Gualtieri commissario si possa lavorare per fargli cambiare idea. Il M5S potrebbero utilizzare il decreto per avanzare la richiesta di includere nel pacchetto anche lo sblocco del crediti per il superbonus. Draghi ha detto più volte e in maniera molto esplicita di non amare questo provvedimento. È molto difficile che il gruppo di Insieme per il futuro faccia le barricate per difenderlo.

Già mercoledì sera, parlando all’assemblea di deputati e senatori, Conte ha spiegato come intende muoversi: «Resteremo nel governo finché potremo portare avanti le nostre battaglie». È una formula diversa dalla garanzia di lealtà al vincolo di maggioranza fornita subito dopo la scissione. I favorevoli alla rottura dicono che consentirebbe di scaricare addosso a Di Maio e ai suoi tutti i sabotaggi dei provvedimenti che il M5S considera identitari: il superbonus, il salario minimo, il reddito di cittadinanza, l’inceneritore di Roma e la transizione ecologica.

D’altro canto, il macigno che ostruisce la via di fuga dalla maggioranza sono i rapporti col Partito democratico. Le manovre centriste di Di Maio riaprono la strada dell’accordo tra moderati che escluderebbe il M5S. Lo ha detto chiaramente due giorni fa Carlo Calenda, impegnato a Lucca in un comizio con Enrico Letta: «Spero che Enrico si liberi delle cattive compagnie». Nel M5S disegnano questo scenario: se la Lega dovesse passare da Salvini a Giorgetti, una coalizione pro Draghi per la prossima legislatura sarebbe già bell’e pronta, con Di Maio al posto di Conte e Fratelli d’Italia ancora all’opposizione da destra.

Dal M5S fanno sapere che da quando Di Maio se n’è andato hanno ricevuto mille richieste d’iscrizioni: si marcia alla media di trecento al giorno. «Chi vuole andare via lo faccia subito», dicono dal M5S come a mandare segnali di sicurezza nei propri mezzi. Hanno subito anche l’addio di Lucia Azzolina, si attende ancora un segnale da Virginia Raggi. Un altro siciliano di peso, il sottosegretario alle infrastrutture Giancarlo Cancelleri, non ha seguito Di Maio. È uno di quelli che ha consumato i due mandati elettivi e che attende di sapere se e come cambierà la regola che pregiudica il suo futuro politico (a partire dalle regionali di autunno). Per questo manda segnali a Conte: «Si è accesa una attenzione troppo grande su una questione che a mio avviso deve essere affrontata con la massima serenità», dice assicurando di confidare nelle scelte del leader.
Anche per parlare di questo pare che Beppe Grillo si sia alla fine deciso a venire a Roma: è atteso per domani, al più tardi per martedì. Sarà anche occasione per capire se rispetto al governo è cambiato l’atteggiamento del fondatore che fu gran cerimoniere dell’ingresso nella maggioranza Draghi.

Probabilmente oggi il fondatore non direbbe più che l’ex presidente della Bce è «un grillino». Ma ha sua latitanza in questi giorni cruciali (e fondativi di una nuova fase della storia del M5S) ha incoraggiato le tentazioni dei suoi di tagliare di netto con le scelte di quest’ultima fase della legislatura.

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