A Gaza c’è una tradizione per il Ramadan che va molto indietro nel tempo. Quando viene il tramonto e si rompe il digiuno cominciato all’alba, la prima cosa che si mangia dopo un dattero è la molokhia, uno stufato molto denso. La tradizione vuole che questa verdura (malva), ricca di fibre e tanto diffusa nel vicino Egitto, sia una sorta di portafortuna e che porti ottimismo. E a Gaza mai come in questo momento ne hanno bisogno. «La molokhia di solito si prepara con carne e riso» ci racconta Awni Shaban di Gaza city, sfollato più volte e da qualche giorno giunto a Deir al Balah con la sua famiglia. «Questa volta non è così» prosegue «la molokhia è quasi introvabile a Gaza e quando è disponibile non c’è la carne. Un kg di riso prima della guerra costava 5 shekel (1 euro e 20 centesimi) ora 35. E in tutta la Striscia la maggior parte delle persone non ha soldi. Perciò la gente per il primo eftar del Ramadan ha aperto qualche scatoletta e preparato dell’humus. Tanti stasera (ieri) sono andati alle cucine pubbliche degli istituti di carità. E per il sohor (il pasto all’alba prima di cominciare il digiuno, ndr) sarà lo stesso, al posto di formaggio e marmellata mangeremo un po’ di humus se andrà bene. Manca tutto, l’aggressione israeliana ha cambiato ogni cosa, persino il programma delle preghiere, spesso ne facciamo due insieme per correre meno rischi».

Mentre Shaban ci parlava al telefono, a Qarara, a est di Khan Yunis, una bomba sganciata da un jet israeliano ha ucciso due palestinesi e ferito diversi altri. «Sento i boati delle cannonate anche qui in questa zona, è così che Israele accoglie il Ramadan, con la fame, la morte e le distruzioni a Gaza», ha aggiunto Shaban. Ore prima, intensi bombardamenti avevano colpito vari punti di Nuseirat facendo una quindicina di morti e vari feriti. Altri 16 palestinesi sono rimasti sotto le macerie a Zaitun. Israele afferma di aver preso di mira e probabilmente ucciso Marwan Issa ritenuto il numero 4 del movimento islamico. «Eliminato il numero 4 (di Hamas) e i numeri 3, 2 e 1 sono in arrivo», ha commentato soddisfatto in un video il premier israeliano Netanyahu. Da Hamas però fino a ieri sera non sono giunte conferme dell’uccisione di Issa che svolgeva anche il ruolo di vice di Mohammed Deif, il capo dell’ala militare del movimento.

Più a sud, nelle tende umide di Rafah sul confine con l’Egitto non ci sono decorazioni e neppure la lettura del Corano che di solito nel Ramadan. Le privazioni e il disagio sono eccezionali. Solo i bambini, grazie alla forza straordinaria che hanno dentro, riescono incuranti della guerra a giocare scalzi sulla sabbia ancora bagnata dalla pioggia e fredda. Alcuni di loro con pezzi di carta e candele hanno costruito qualche fanous, la lanterna popolare usata per decorare strade e case nel mese di digiuno. Le famiglie sfollate a Rafah fino a cinque mesi fa avevano un tetto: a Khan Yunis, Gaza city, Atrata, Beit Hanoun e in tanti altri centri distrutti dai bombardamenti. Ora vivono in un accampamento improvvisato e affollato e non mangiano tutti i giorni. A nord è ancora peggio. La fame dilaga e per l’eftar i palestinesi rimasti lì saranno fortunati se mangeranno focacce, fagioli in scatola o uno di quei pasti pronti sganciati, anche ieri, dagli aerei americani. Il presidente Joe Biden dice di avere a cuore la condizione dei civili palestinesi. E si vede: alle migliaia di bombe che fornisce da mesi a Israele per martellare e distruggere Gaza – e che hanno fatto 31.112 morti dal 7 ottobre, 67 nelle ultime 24 ore – aggiunge pacchi di generi alimentari per gli scampati alla morte. Una «generosità» che gli abitanti di Gaza certo non dimenticheranno. Ma Biden non dimentica Israele. Il nuovo bilancio Usa degli Affari Esteri prevede ulteriori fondi per Tel Aviv in aggiunta ai 3,3 miliardi di dollari annuali per la sicurezza e alla richiesta della Casa Bianca per 14 miliardi in assistenza di emergenza.

E la nave Open Arms attesa a Gaza con 200 tonnellate di cibo? Sarebbero dovuta arrivare tra ieri e oggi ma sembra svanita. Intanto su Rafah incombe la prospettiva di un attacco militare. Washington ha fallito l’obiettivo della tregua di sei settimane e ora chiede a Israele solo 3-4 giorni di stop ai bombardamenti. L’obiettivo israeliano comunque non cambia. Per il gabinetto di guerra guidato da Netanyahu nella città sul confine con l’Egitto si troverebbero quattro «battaglioni» di Hamas. La città, perciò, sarà attaccata ripete il primo ministro israeliano, intenzionato a raggiungere la «vittoria totale» sul movimento islamico da spendere alle future elezioni. In Cisgiordania, dove l’esercito ha ucciso almeno un palestinese a Tulkarem, i coloni israeliani e il ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir protestano contro il trasferimento a Betlemme di 70 orfani di Gaza, su richiesta dell’ambasciata tedesca, poiché l’orfanotrofio in cui si trovavano non è più operativo.

Per il Ramadan l’esercito israeliano ha inviato altri 24 battaglioni in Cisgiordania. Migliaia di poliziotti invece saranno dispiegati a Gerusalemme venerdì quando circa 100.000 fedeli palestinesi potrebbero raggiungere la Spianata della moschea di Al Aqsa. Non è detto che Israele li faccia passare. La notte di domenica, la prima del Ramadan, la polizia ha impedito agli under 40 di entrare sulla Spianata contrariamente a quanto aveva annunciato da Netanyahu sulla concessione della libertà di culto.