Internazionale

All’ospedale di Kobane: «Ho visto le scene più strazianti della mia vita»

All’ospedale di Kobane: «Ho visto le scene più strazianti della mia vita» – Felice Rosa

Intervista Mohamed Arif dell’ospedale Amal di Kobane. Uno dei pochi medici «resistenti»

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 19 giugno 2015

Abbiamo incontrato Mohamed Arif all’ospedale Amal di Kobane. Solo tre centri medici sono attivi nel centro urbano: un ospedale militare e il policlinico di Medici senza frontiere. Prima di lasciare Kobane i jihadisti hanno fatto saltare in aria anche il grande ospedale cittadino.

Mohamed Arif è stato uno dei pochi medici a non aver mai lasciato la città durante l’assedio di Isis. Ci accompagna nelle povere sale dell’ospedale dove opera un’equipe medica davvero motivata.

In quali condizioni operate?

Ci sono appena 22 posti letto per 41 pazienti al giorno. 110 sono i feriti e i pazienti trattati ogni giorno dal pronto soccorso. Purtroppo eccetto le famiglie dei martiri o altre associazioni legate ai combattenti Ypg gli altri devono pagare, anche se la metà del prezzo stabilito.

Quando è arrivato a Kobane?

Dopo gli scontri tra Els e militari dell’esercito ho deciso di lasciare Aleppo. Mi sono stabilito qui definitivamente quando Kobane era circondata da tre lati dallo Stato islamico. Finché nel settembre 2014 Isis ha avviato la grande operazione di assedio della città.

Quante persone sono state uccise in quei giorni?

Non so di preciso. Erano tutti civili. L’Is colpiva i civili stipati alle frontiere. In un solo colpo hanno ucciso 23 persone. A quel punto non potevamo più contare i numeri di morti e feriti. Per 25 giorni nessuno ha sparato un colpo contro l’Isis. È stato incredibile vedere la frontiera turca chiusa per noi è aperta per Isis.

Come passavano le giornate in ospedale con lo Stato islamico in città?

Ho assistito alle scene più strazianti della mia vita. Alcuni volontari ci portavano i feriti dal fronte. Tra loro un giovane di 23 anni al terzo anno di Università. Ha iniziato quando uno dei suoi compagni è stato ucciso e ha preso il fucile del suo amico. Dopo una settimana è stato ucciso. Molte giovani donne hanno iniziato a combattere. Tante hanno smesso di studiare per combattere. Abbiamo curato una ragazza ferita. Dopo due ore ha lasciato l’ospedale per tornare in battaglia.

Ma ora le cose vanno meglio?

L’approdo del partito di sinistra filo-kurdo (Hdp) in parlamento in Turchia è un successo importante. Hdp ora deve fare un primo passo per gli abitanti di Kobane e per i kurdi: aprire i confini perché possa continuare la resistenza contro Isis, per migliorare la vita dei civili, perché dalla Turchia rientrino nella loro città.

E poi i combattenti di Ypg e Ypj inanellano vittorie su vittorie?

I Ypg hanno molta popolarità qui a Kobane perché hanno protetto i civili che si sono rifiutati di rimanere sotto il controllo di Daesh. E per questo hanno pagato con un numero altissimo di vittime. Alcuni giorni arrivavano anche fino a 30 cadaveri. In un solo giorno ci sono stati 65 feriti. Fino alla liberazione di Kobane abbiamo contato 480 Ypg morti e 800 feriti.

Vivere in un contesto di guerra civile deve averla segnata come medico?

Mi sono indurito nei sentimenti. Però sono felice di essere un medico di guerra. Da ragazzo avevo il sogno di servire all’umanità ma non era mai stato così nella pratica. Ora vivo questa condizione quotidianamente.

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