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Guido Chigi Saracini: la guerra, anormale e orribile

Divano La rubrica settimanale di arte e società. A cura di Alberto Olivetti
Pubblicato 9 mesi faEdizione del 16 febbraio 2024

Guido Chigi Saracini il 24 maggio del 1915 parte volontario verso il fronte, nel giorno stesso della entrata dell’Italia in guerra. Ha trentacinque anni. Ha maturato la sua formazione musicale al Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze. Nel 1908 anima con il violinista Piero Baglioni il Quintetto Senese per archi e pianoforte. Nel 1913, con Arrigo Boito, celebra a Siena il centenario della nascita di Giuseppe Verdi, promuovendo l’esecuzione della Messa di Requiem diretta da Edoardo Mascheroni, il maestro che già nel 1893 Verdi aveva scelto per concertare e dirigere la prima esecuzione del Falstaff.

«Io libero, solo, non avendo figli, non sarei potuto starmene in panciolle a casa», scrive. «Ragioni di convinzione e di tradizione mi portarono ad arruolarmi, nel modo che giudicai più confacente alla mia possibilità, alla mia resistenza». Chigi era stato a suo tempo riformato alla visita di leva per insufficienza toracica, tuttavia al momento della mobilitazione, il 22 maggio, risponde all’appello della Croce Rossa che è stata prontamente affiancata alla Sanità militare.

Chigi dice del suo modo di intendere «i doveri che liberamente si assumono, specie in simili tempi, cioè senza nulla chiedere di favori perché nulla e per nulla ne soffra il servizio affidatomi». Non mancavano certo al giovane musicista, le possibilità di trarre vantaggio dalla famiglia, cospicua non solo per la ricchezza, ma per l’antichità del lignaggio. Precisa: «Non fui mai guerrafondaio, come non gridai contro la guerra; fui solo obbediente al Governo per il meglio della mia cara Italia». E aggiunge: «Non ho fatto, non faccio e non farò, dunque, che prestare modestamente l’opera mia in quanto so e posso in sì atroci momenti che il Cielo abbrevii più che sia possibile».

Chigi tiene un diario (pubblicato da il Mulino col titolo Alla Grande Guerra in automobile) relativo alle due campagne cui prese parte nel 1915 e nel 1916. Le pagine si interrompono quando fu colpito da una grave affezione polmonare che lo costrinse in ospedale e ad una lunga convalescenza che comportò il congedo. Ebbe anche modo di scattare, nelle zone di guerra e nelle retrovie, numerose fotografie. Soldati in trincea e feriti sulle lettighe, case distrutte dai cannoneggiamenti e prigionieri austriaci. Tombe di caduti con le croci di legno piantate su zolle fatte bianche da una spolverata di calce. E bianche le venerande barbe di due reduci garibaldini, a Falcade, le medaglie risorgimentali appuntate al petto.

Una fotografia ritrae Chigi sulla automobile Spa che aveva messo al servizio dell’esercito e con la quale svolgeva la sua missione. La didascalia recita: «Lago di Santo Stefano. Io e la Spaina», la vettura designata con un vezzeggiativo affettuoso. Del resto, a una settimana dal suo arrivo nel reparto del Corpo nazionale ciclisti ed automobilisti, scrive: «Domani vorrò chiedere al Comando di permettermi di non concedere la mia vettura quando non posso accompagnarla. Adopereranno altre vetture, più capaci e più potenti e staremo meglio tutti».

Contraddistingue l’atteggiamento di Chigi verso la guerra la sua disposizione pacifista che trova in lui conferma man mano che i disastri della guerra constata intorno, giorno dopo giorno. Una riflessione sulla guerra, è persuaso Chigi, non può che comportarne la denuncia e la riprovazione e la ferma volontà di fermare le armi. È quanto argomenta in questo significativo brano: «Il pensiero di ieri mi tortura per il confronto con l’oggi; quello che prediligevo e prediligo, mi sembra così lontano, così lontano che quasi mi sembra averlo sognato e di sognarlo ancora e non faccio, spesso, che interrogarmene fra me e me.

La guerra abbrutisce? Non è vero! La guerra raffina! Tutto cambia in noi, in uno stato così anormale ed orribile, ma cambia in meglio. Così almeno io sento e provo. I sentimenti si raffinano, li odii scompariscono, più che si scatena la lotta immane, più si ravviva e si corrobora il desiderio della pace comune. Ed il giorno che verrà questa benedetta pace possa essa apportare tutte le paci desiderate! Questo mio fermo, solito voto, ancora oggi io formo e più ardentemente e più appassionatamente se possibile».

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