Guerra, pace e partigiani. Letta glissa, Conte carica
Avrebbe potuto essere l’intervento più applaudito. Quando il primo piano di Giuseppe Conte appare enorme in videoconferenza al 17 congresso dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, i capelli sono come sempre in ordine ma è chiaro che entro gli rugge uno spirito guerriero. Anzi, pacifista. Se ha combattuto deve averlo fatto fino a un attimo prima con le correnti del Movimento e con gli alleati, irritati, soprattutto il Pd, per la decisione di rimangiarsi in senato il voto favorevole all’aumento delle spese militari dato alla camera otto giorni fa. Ha tante telefonate importanti da fare, l’avvocato, e rimanda più volte il collegamento. Poi appare. E parte subito, una furia, battendo il pugno sul tavolo, ma troppo vicino a microfono e videocamera. «Se invece che intervenire con investimenti ingenti per aiutare le famiglie e le imprese in difficoltà – alza la voce – noi scegliessimo la strada di investimenti massicci sulle spese militari – sta quasi gridando – questa sarebbe per noi, e lo dico forte». Beng. Cosa? Che ha detto?
Non si è capito perché Conte ha colpito il tavolo troppo forte, la videocamera si è mossa, l’audio è saltato. Qualcuno però è riuscito a cogliere qualcosa. Ha detto che sarebbe «una scelta ignobile» aumentare al 2% del Pil le spese militari. Come da ordine del giorno già votato e come insiste a voler fare Draghi. Qualche applauso arriva comunque, perché si è capito dove andava a parare. Certamente Conte – che è alla vigilia di un nuovo referendum nel Movimento sul suo ruolo e questo pure conterà qualcosa – è quello più in sintonia con la platea ma anche con il palco dell’Anpi, dove poco prima il presidente Gianfranco Pagliarulo ha difeso la scelta di schierarsi contro l’invio delle armi in Ucraina. Enrico Letta, che invece a Riccione ci è venuto e si è ascoltato tutti gli interventi della mattina – e lo rimarca – gira attorno alla questione delle armi e Roberto Speranza, in collegamento, non ne parla affatto. La vicesegretaria della Cgil Gianna Fracassi, inviata da Landini a ribadire la linea della manifestazione del pacifista del 5 marzo, prende applausi: «Mandare armi agli ucraini è sbagliato, alimenta la guerra».
Per quella manifestazione di Roma, si ricorderà, si era parlato di «neutralità attiva», a dire che i pacifisti non sono indifferenti, condannano i russi e sono solidali con gli ucraini, ma vogliono farlo senza partecipare alla guerra. Quell’espressione è tornata in mente quando al congresso è stato letto il messaggio del presidente della Repubblica. Sergio Mattarella ha scritto che «l’attacco della Russia colpisce le fondamenta della democrazia rigenerata dalla lotta al nazifascismo» e per questo «a chi sta resistendo» bisogna dare una «solidarietà attiva».
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Anpi, a Gorizia per comprendere le drammatiche vicende del confine orientaleAl che Pagliarulo, presidente (non partigiano) dell’Anpi, avviato alla conferma, tiene a ribadire le sue ragion, parlando invece di un «consenso attivo» alla «nostra critica dell’invio degli armamenti». Deve infatti dar conto della distanza con l’ultimo presidente partigiano, Carlo Smuraglia – 98 anni, era venuto a Riccione ma all’ultimo non ha potuto partecipare – che nei giorni scorsi aveva detto che per lui le armi al popolo ucraino che resiste vanno date, eccome. Consenso attivo, assicura Pagliarulo, «dalla gran parte dei compagni, fra cui tanti partigiani. Non pensate di dividerci, l’Anpi non è una caserma, si discute». E aggiunge: «Del resto abbiamo registrato con piacere autorevolissime voci contro l’aumento delle spese militari, in partiti che alla camera hanno però votato a favore». Tipo Conte e i 5 Stelle.
«Non siamo soli», ricorda il presidente dell’Anpi, contro la scelta «pericolosa» di mandare armi, che ci avvicina «alla linea rossa dell’entrata in guerra»: contraria è «tanta parte del mondo cattolico», a partire dalla citazione di giornata del papa. E se è per questo, anche il rappresentante delle Acli porta il suo conforto ai congressisti. Ma non quello della Cisl, che prende i fischi quando si domanda se sia giusto «lasciare disarmato un popolo che resiste» e soprattutto quando chiede «perché dovremmo uscire dalla Nato? Non ha mai occupato nessun paese». Pagliarulo pensa al contrario che «sono caduti i presupposti della Nato e perciò è ragionevole una progressiva diminuzione delle sue strutture».
Questioni dalle quali si tiene lontanissimo Letta, venuto a Riccione più che per dire per ricucire. L’Anpi, associazione che dichiara 120mila iscritti, è un pezzo importante di quel che rimane della galassia progressista. «In passato abbiamo vissuto momenti complicati», esordisce, ritornando agli anni in cui Renzi additava i «falsi partigiani», colpevoli di contrastare la sua riforma costituzionale. Adesso, promette il segretario, «il Pd e l’Anpi staranno sempre dalla stessa parte del campo» che è quello, largo, «della Costituzione, dell’antifascismo e della democrazia». Per tutto il resto – la guerra, la pace – Letta se la cava così: «Sposo la parole del presidente Mattarella, è necessario stare con gli aggrediti». Meglio non aggiungere altro.
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