«Questo abbagliante turbinio giubilante punteggiato dalla vertigine della fine stessa, che è la vita, ci porta a credere che siamo obbligati a “vivere finché viviamo”. È allora che vuoi correre all’impazzata senza fiato, vivere ogni momento come gli ultimi istanti».

NELLO SCORRERE le note di intenzione del pezzo che ha chiuso al teatro Ariosto di Reggio Emilia il Reggio Parma Festival dedicato a Maguy Marin, difficilmente troveremmo parole più accese e pertinenti alla ragione d’essere della rilettura coreografica di Grosse Fugue op. 133 di Ludwig van Beethoven firmata dall’artista francese nel 2001. Dato ora in repertorio all’italianissima MM Contemporary Dance Company, diretta da Michele Merola a Reggio Emilia, Grosse Fugue, al Reggio Parma Festival in anteprima, debutterà ufficialmente nel luglio del 2024 al festival Bolzano Danza, musica dal vivo in entrambe le occasioni eseguita dai solisti dell’Orchestra Haydn di Bolzano e di Trento nella versione per quartetto d’archi.

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Grosse Fugue è un pezzo al femminile dall’impeto incessante. Quattro voci per quattro corpi che, nell’intreccio delle linee, delle cadute a terra, dei salti, dei respiri, esprimono la capacità di reazione alle difficoltà del vivere. Quattro danzatrici in focoso abito rosso per quattro linee melodiche. Per le giovani interpreti Emiliana Campo, Matilde Gherardi, Fabiana Lonardo e Alice Ruspaggiari, l’incontro con Maguy è stato emozionante: l’artista ha voluto seguire le ultime prove dell’anteprima, a rimontare il lavoro Dorothée Delabie, del Ballet de l’Opéra de Lyon, coadiuvata da Enrico Morelli della MM. Marin: «Una bellissima compagnia, ottime danzatrici. L’energia, l’entusiasmo, la gioia, il tragico sono elementi così potenti nella musica di Beethoven che nel 2001 scelsi di lavorare soltanto con donne. Nella partitura si ha l’impressione che di continuo qualcosa cada per poi rialzarsi, sembra che tutto finisca e invece tutto ricomincia e sono le donne ad avere questa capacità di risollevarsi dopo le cadute».

A Reggio Grosse Fugue ha avuto come prologo Duo d’Eden, titolo culto di Marin del 1986, il primo lavoro a essere stato dato nel 2020 a Merola dalla coreografa francese, in scena Emiliana Campo e Nicola Stasi. Un uomo e una donna in tuta color carne, una maschera stilizzata dello stesso tono, un’unione di corpi immersa nel pensiero di un nostalgico paradiso perduto.