«Deux mille vingt trois», nel nostro tempo senza un filo di speranza
Danza L'ultima creazione di Maguy Marin portata in scena a Reggio Emilia
Danza L'ultima creazione di Maguy Marin portata in scena a Reggio Emilia
Deux mille vingt trois. 2023. Il titolo dell’ultima creazione di Maguy Marin è già una dichiarazione di intenti. Le immagini, le parole, la luce e il buio che scandiscono il tempo condiviso del teatro, che piaccia o no, affondano lo sguardo dritto dentro il nostro tempo senza filtri consolatori né visioni di speranza. Una sfida alla resistenza del pubblico mossa dall’urgenza di denuncia verso un mondo in cui non si trova più credibilità.
ALLA CAVALLERIZZA di Reggio Emilia, di fronte al pubblico, in proscenio, c’è un grande muro bianco. Su ogni mattone è scritto un cognome, sono tantissimi e ben noti, da Bettencourt a Pinault, da Putin a Berlusconi, Trump e Johnson, Gates, Oppenheimer, Murdock. Lo sguardo corre da un mattone all’altro. C’è piena luce prima del crollo. Impossibile non pensare a Palermo Palermo di Pina Bausch, allora quella visione anticipava la caduta del muro di Berlino, con Maguy il tonfo è un volo in un baratro nero.
All’inizio però si spera in una via di fuga. In un angolo lucine colorate da festa tintinnano nella penombra, i danzatori entrano nell’oscurità ballando la farandola come avveniva nel travolgente BiT del 2014. Forse l’uomo ce la farà? Anche in BiT i temi non erano leggeri, il pericolo, l’orrore dei più biechi baratti, la paura, la violenza, eppure quegli uomini e donne, che finivano per arrischiarsi in un salto nel vuoto dopo aver corso tra perigliose pareti inclinate, lasciavano negli spettatori la sensazione che la lotta fosse ancora possibile affidata a quella danza coraggiosa, battagliera, catartica.
In Deux mille vingt trois la farandola è però ormai solo un ricordo, un’ombra in cui la vita è assente. I danzatori nel buio sposteranno per più di un’ora e mezza i mattoni caduti, li batteranno con ritmi metallici a scandire il passaggio in proscenio di un uomo mascherato, una geisha con un ventaglio di banconote tra le mani, in testa ogni volta un simbolo della ricchezza in mano a pochi. Marin: «Nel diluvio di immagini in cui veniamo inclusi prima ancora di accorgercene, siamo messi alla prova come macchine e oggetti di uso quotidiano». Cita Benjamin: «Organizzare il pessimismo non significa altro che scoprire uno spazio nell’azione politica che è riservato al cento per cento alle immagini, uno spazio-immagine che non può più essere esplorato attraverso la contemplazione». Un pessimismo sulla società a cui la danza non riesce più a rispondere: un fiume di parole governa l’azione teatrale. È letto in italiano da un’attrice seduta a un tavolino, traduzione simultanea dei testi in francese scritti e detti dai danzatori e inframezzati da dichiarazioni registrate di politici, miliardari, gente di potere. Su uno schermo intanto scorre un reportage di immagini d’inchiesta, Bernard Arnault, l’impero del lusso LVMH, François Hollande, Frédéric Beigbeder, Sarkozy, Macron. I danzatori si affannano nel buio, tutto sembra inutile.
Un pessimismo sulla società a cui la danza non riesce più a rispondere
LE NOSTRE SCELTE sono libere? Per Marin, che dichiara di ispirarsi a Brecht e all’umorismo di Karl Valentin, no. A vincere è l’opinione maggioritaria. Crediamo di essere liberi, ma è un’illusione. Alla fine una lieve luce illumina la ricostruzione di un pezzo di muro nero come la pece, mentre si intona alla chitarra una canzone. Ma è un nulla nella notte.
Resta la sensazione di un lavoro duro, persino irritante con quel suo non concedere respiro né dibattito, un j’accuse che non dà tregua, ma anche un atto di sincerità. Marin dal 2015 ha fatto del resto una scelta radicale, vive con la sua compagnia nei dintorni di Lione a Ramdam, centro d’arte e progetto in cui «stimolare l’effervescenza di una condivisione politica che faccia della questione dell’arte e della poesia il luogo di un esercizio della visione, del sentire, del pensare, del dire» conta di più di un unanime consenso.
ULTIME TAPPE del Reggio Parma Festival Maguy Marin – La Passione dei Possibili il prossimo weekend: al Regio di Parma in scena il 15 Umwelt, spettacolo del 2004, sul quale il figlio di Maguy, il regista David Mambouch, firma il film Umwelt, de l’autre cȏté des miroirs, che sarà proiettato al Valli di Reggio Emilia il 16, alle 16.30, seguito da un incontro pubblico con Maguy Marin condotto da Maria Luisa Buzzi, direttrice della rivista Danza&Danza. Sempre a Reggio, all’Ariosto, segue alle 19 l’anteprima nazionale di Grosse Fugue, magnifico quartetto femminile del 2011 sull’omonima partitura di Beethoven, nell’interpretazione dell’italiana MM Contemporary Dance Company, accompagnata dalla musica dal vivo dei solisti dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, nella versione per quartetto d’archi. La prima nazionale dello spettacolo è prevista a luglio 2024 al Festival Bolzano Danza. In scena con la compagnia di Michele Merola anche Duo d’Eden.
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