Grecia, partita aperta
Nuova finanza pubblica La rubrica settimanale a cura di Nuova finanza pubblica
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Il 2015 sarà un anno di elezioni promettenti: la Grecia il 25 gennaio, la Spagna il 20 dicembre. Sono in molti a prevedere nel contesto ellenico una vittoria di Tsipras, agevolata da una legge elettorale piuttosto incline al maggioritario. Punto assai più problematico è se riesca ad ottenere nel Parlamento una maggioranza assoluta; in caso contrario è prevedibile una fase di negoziazioni compromissorie e di un annacquamento del programma anti-Troika.
In ogni caso la probabile vittoria della sinistra di Syriza (fuori gioco l’esausto e connivente Pasok) sta riattivando il dibattito su debito sovrano e euro. Va ricordato che la “cura da cavallo” targata Troika (Bce, Fondo monetario e Commissione Ue) ha conseguito il superlativo risultato di far passare la grecia da un rapporto debito/pil dal 129,7% ad uno strabiliante 174,9%, spingendo il governo di larghe intese a tagliare ogni spesa sociale e tartassare i cittadini senza pietà – peggiorando ogni indicatore possibile, dal tasso di denutrizione alla mortalità infantile.
Forti di questo successone gli eurocrati guardano con ostilità il profilo radicale di Syriza, accendendo ceri per un’avanzata del centro-destra.
Hanno ragione?
Va premesso che dal programma del 2012 la differenza balza all’occhio. Alcuni elementi come l’audit sul debito, tassa sui redditi più ricchi al 75%, proibire i derivati più nocivi, nazionalizzazione di banche e settori strategici (e di tutto il sistema sanitario privato!), usare edifici della chiesa e dello Stato per i senzatetto nel Programma di Salonicco (enunciato dal leader greco a settembre 2014) non ci sono più. C’è la prospettiva di aprire una negoziazione per una riduzione del debito in una ambito multilaterale, oltre ad una serie di misure per ricostruire la società ellenica e fornire una base minimale di servizi agli impoveriti. In una recente intervista Tsipras ha detto che la priorità non è il socialismo ma la fine dell’austerità.
Sembra la chiave di lettura di tale svolta: anziché attaccare il sistema a fondo, puntare a rialzare le classi subordinate dalla miseria e dal bisogno. Di qui la lista di benefici promessi: dall’elettricità gratis per i poveri, alla ricostruzione del welfare, con la fine di una esosa tassazione per lavoro e famiglie. Il punto critico è che tutto ciò costa: Syriza lo quantifica sugli 11,3 miliardi. Corretto o meno, le somme sono tali da dover mettere necessariamente in discussione il debito sovrano, il cui peso altrimenti schiaccerebbe ogni velleità di spesa sociale. Di qui i timori per la tenuta dell’euro.
Quanto fondati?
Rispetto al 2012 il contesto è cambiato. Tanto dai dati della Banca dei Regolamenti internazionali quanto da un’analisi di J.P. Morgan risulta che le banche francesi e tedesche hanno una esposizione assai limitata. La corsa a liberarsi dei titoli greci dal 2010 ha qualcosa di spettacolare. Il che significa che un possibile ripudio unilaterale del debito non sarebbe così preoccupante come 2-3 anni fa. Il governo greco avrebbe molto meno spazio di contrattazione.
A quel punto, in assenza di un accordo che riduca sostanzialmente il debito, la Grecia non potrebbe attuare le misure a favore della popolazione se non uscendo dal progamma del Memorandum dell’austerità, col blocco dei finanziamenti della Troika (i cui soldi fino ad oggi erogati sono serviti a finanziare il debito, le banche greche, il fondo salva stati Esm… come mostra un’analisi su Macropolis); in tal modo è arduo capire come potrebbe rimanere nell’euro, e anche se non foriera del terrore dei banchieri come due anni fa, l’uscita della Grecia dall’eurozona determinerebbe conseguenze non trascurabili. La partita è ancora aperta.
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