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Graham Harman, essere spettatori del mondo

Graham Harman, essere spettatori del mondoGraham Harman

ITINERARI CRITICI Una intervista con il filosofo statunitense e autore del libro «Arte e oggetti», pubblicato da Mimesis. «Dovremmo prestare attenzione alle fratture che i pensatori hanno prodotto e valutarne la portata. Tutto il mio lavoro è guidato dalle grandi figure della tradizione, che di solito sono molto più interessanti di quanto si creda. Aristotele, per fare un esempio, è sorprendente. Ciò che chiamo bellezza, termine perfetto anche se ormai desueto, è costituita dalla tensione tra cose reali e qualità sensuali»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 22 giugno 2023

Graham Harman, esponente di primo piano dell’Ontologia orientata agli oggetti (indicato dall’abbreviazione OOO, ndr), torna nelle librerie italiane con Arte e oggetti (a cura di Floriana Ferro, Mimesis, pp. 274, euro 26). Questo saggio non è l’applicazione della sua teoria a una categoria particolare di oggetti, bensì un importante snodo critico del pensiero del filosofo statunitense. Come è spesso accaduto, il confronto tra filosofia e arte si rivela fecondo e permette a Graham Harman di sviluppare quello che chiama «formalismo strano», proposta che salvaguarda l’autonomia dell’opera d’arte senza obliterare lo spettatore.

Quale è la ragione principale che l’ha spinta a scrivere «Arte e oggetti» e a riproporre una visione formalista dell’arte?
L’estetica è un aspetto centrale della OOO, da cui discende il mio interesse per l’arte. Il formalismo è stato a lungo fuori moda in ambito artistico; personalmente, ho voluto riaffermarne il nucleo essenziale, ossia il concetto di autonomia dell’opera d’arte, al contempo cercando di ampliare ciò che viene incluso nell’ambito di tale autonomia. Il formalismo kantiano è insufficiente perché non accetta neppure l’interazione tra l’opera e lo spettatore, figurarsi i fattori sociopolitici o quelli «locali».

Kant, però, è una figura centrale del suo lavoro. Come si approccia al suo pensiero e, più in generale, a quello di chi l’ha preceduta?
Tutto il mio lavoro è guidato dalle grandi figure della tradizione, che di solito sono molto più interessanti di quanto si creda. Aristotele, per esempio, è un pensatore sorprendente che è stato reso scontato da un’eccessiva frequentazione. Il modo peggiore per affrontare la tradizione è ripetere ciò che è stato sostenuto dai grandi filosofi per poi dichiararsi in accordo o in disaccordo con le loro conclusioni.
Dovremmo invece prestare attenzione alle fratture che i diversi pensatori hanno prodotto dentro la crosta terrestre e valutarne autonomamente la portata. Questo talvolta può tradursi in un disaccordo anche nei confronti dell’auto-interpretazione che i filosofi hanno del loro stesso pensiero.

A proposito di figure centrali: perché Heidegger e non Lacan?
Heidegger semplicemente perché è parte del mio background professionale. Ho passato gran parte degli ultimi venti anni a leggere qualunque cosa abbia scritto, ragion per cui c’è sempre un po’ di Heidegger nel menu della Ontologia orientata agli oggetti. Comunque, nel frattempo, ho fatto molti passi oltre Heidegger e, in effetti, Lacan è uno dei pensatori verso cui mi sto indirizzando, ma non ho ancora deciso in che modo interfacciarmi con il suo pensiero.

Husserl è un altro protagonista dal momento che il suo pensiero sta alla base di ciò che lei chiama bellezza.
A mio parere, Husserl è il filosofo maggiormente critico della proposta teorica di Hume secondo cui gli oggetti sarebbero semplicemente «mucchi di qualità». Per la OOO, ci sono due tipi di oggetti e due tipi di qualità, per cui si vengono a definire quattro possibili coppie oggetti-qualità, che definisco estetiche nell’accezione più ampia.
Quella che chiamo bellezza, un termine perfetto anche se attualmente desueto, è costituita dalla tensione tra oggetti reali e qualità sensuali. La bellezza spesso si realizza al di fuori dell’arte, ma affrontare questo tema richiederebbe un libro a parte.

L’idea più rivoluzionaria del suo saggio è quella di definire l’arte un oggetto ibrido costituito da opera e spettatore. Lo spettatore può essere nonumano?
Per semplicità, nel libro ho limitato il termine «arte» alle opere così come viste dagli umani. Mi trovo, però, concorde con l’idea secondo cui si dà esperienza estetica anche nei regni animale e vegetale e, forse, anche in ambiti ancora più lontani. Tuttavia, parlare di arte nonumana avrebbe fatto correre il rischio di generare controversie distraenti.

Lei sviluppa altri due concetti rilevanti per la comprensione delle opere d’arte: la teatralità e la metafora.
La teatralità entra nel mio discorso grazie al lavoro di Michael Fried, autore che stimo molto. Ma, contrariamente a Fried, sostengo che la teatralità è essenziale nell’arte, e ciò ha a che fare con quanto anticipato poco fa: l’opera d’arte e lo spettatore formano un nuovo oggetto ibrido. Anche la metafora è un aspetto essenziale sia perché si basa sulla frattura tra gli oggetti e le loro qualità sia perché richiede la creazione teatrale di un oggetto impossibile da parte del lettore.

Quanto è utile la metafora antropomorfa per smantellare l’antropocentrismo, il «nemico storico» della Ontologia orientata agli oggetti?
Jane Bennet sostiene che un certo grado di antropomorfismo sia necessario per contrastare il dilagante antropocentrismo della modernità. E io concordo con questa affermazione. Non mi pare che ci siano problemi ad utilizzare metafore antropomorfiche per descrivere le azioni di oggetti inanimati, come quando Bruno Latour parla della «negoziazione» delle reciproche relazioni da parte di due oggetti. Per quel che mi riguarda, non esiste opera d’arte in assenza di spettatore.

Lei parla anche di allure. In che cosa si differenzia dall’aura di Benjamin?
L’allure è importante in quanto ha a che fare con il potere seduttivo che l’oggetto assente esercita su di noi. Il pensiero moderno è ossessionato dalla conoscenza intesa come forma prototipica della cognizione umana. Questo si traduce spesso nell’idea secondo cui o abbiamo conoscenza di qualcosa oppure siamo preda di mere gesticolazioni vuote. Questo, però, non è ciò che Socrate ci ha insegnato, dal momento che per lui la filosofia è l’amore per qualcosa che non si manifesta mai compiutamente; filosofia appunto e non sofia. Per quel che concerne la differenza tra l’allure della OOO e l’aura di Benjamin, per la OOO l’allure esiste anche nel caso di oggetti prodotti in serie.

Lei condivide l’idea secondo cui l’arte non dovrebbe essere guidata dalla politica e invece «divorare pezzi di politica e conferirvi una vita estetica».
Sì, sono infastidito dagli approcci all’arte fortemente politicizzati, in cui è difficile definire che cosa differenzi l’opera da un’attività di propaganda. Tuttavia, non è neppure accettabile il caso opposto, ossia quando il formalismo nega all’arte qualsivoglia rilevanza politica. Certe opere d’arte si aprono alla politica, alla critica sociale o alla biografia dell’artista, ma solo al prezzo di escludere altri aspetti.

Per lei, gli oggetti si ritraggono e le relazioni con altri oggetti, umani inclusi, non dovrebbero influenzarne l’autonomia. E se fossero proprio le relazioni a rendere «oscuri» gli oggetti?
No, le relazioni non possono costituire l’intrinseca «oscurità» degli oggetti in quanto i loro rapporti devono essere esterni per definizione. Come sa bene qualunque persona sposata, il matrimonio è qualcosa che va oltre il controllo e perfino la piena comprensione di ciascuno dei due partner. Tuttavia, il matrimonio è senza dubbio un oggetto reale, che vincola i partner e che agisce modificandone gli obiettivi. Questa è una buona metafora della relazione che corre tra qualsiasi coppia di oggetti.

Lei insegna filosofia al Southern California Institute of Architecture. Che tipo di oggetto artistico è l’oggetto architettonico?
L’architettura si trova nella miglior posizione possibile per guidare l’arte verso la sua articolazione storica. La teoria kantiana è al proposito assolutamente fallace poiché vede l’architettura come inguaribilmente contaminata dall’utilità. Io penso invece che l’architettura costituisca il sito più promettente per mostrare che un formalismo modificato è possibile e auspicabile. Non sto parlando di Peter Eisenman, che è ancora troppo kantiano nel suo tentativo di purificare gli oggetti architettonici dall’elemento umano.

Per concludere, quale è, se c’è, la corrente artistica più vicina alla Ontologia orientata agli oggetti?
Non voglio citare nessuna corrente, né in arte né in letteratura, perché il filosofo non è un legislatore. Non penso che si debba sempre svolgere il ruolo della nottola di Minerva che spicca il volo alla fine della storia. Dobbiamo invece rimanere aperti alle sorprese che gli artisti ci prospettano. Ritengo, comunque, che molta arte contemporanea sia eccessivamente prosaica. Se non è politica, allora sta provando, con grandi sforzi, di risultare intellettuale o divertente: è il lascito interminabile di Duchamp.

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Leggi anche l’intervista precedente all’autore: Graham Harman, nelle combinazioni oscure del pensiero

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