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Goretzka e Breitner, il grande cuore dei tuttocampisti

Goretzka e Breitner, il grande cuore dei tuttocampistiLeon Goretzka – foto Ap

Traversa Europa Il cuore mimato con le mani rivolto dal giocatore tedesco dopo il 2-2 alla Germania ai tifosi omofobi ungheresi

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 25 giugno 2021

Sono i policampisti, perché un rettangolo verde a loro non basta e i campi dove si impegnano sono molteplici. Hanno nomi come Leon Goretzka, raccontano storie come quella di Paul Breitner. Li vedi, li senti, quando si spingono oltre la linea di fondo, saltano i cartelloni pubblicitari, piombano in tribuna, arrivano alla gente. Sono i democampisti e non si tratta di un’evoluzione dei tuttocampisti, calciatori che sanno fare un po’ di tutto. Hanno qualcosa di diverso, l’impegno non si ferma ai minuti supplementari, non è solo prestazione sportiva. Parlano e non necessariamente di pallone.
Leon Goretzka ha 26 anni, fa il centrocampista, del Bayern e della Germania. Gioca in mezzo, ma si schiera, da una parte, senza andare a caccia di alibi. Due sere fa ha segnato il gol del 2-2 contro l’Ungheria, ha salvato la testa del suo ct Löw. Poi ha risposto a Orban, capobranco d’Ungheria. È stata la rete che ha permesso alla Germania di andare avanti all’Europeo, passare agli ottavi ed evitare l’eliminazione. È stato il pareggio che ha mandato a casa gli ungheresi e spento una nuova fiammata ultranazionalista del premier, Orban l’omofobo. È successo tutto nell’arena calcistica di Monaco di Baviera, quella che il Municipio voleva che si illuminasse con i colori dell’arcobaleno, ma poi l’Uefa ha detto che no, il calcio non deve parlare di politica.

RACCONTALO a quell’attivista per un mondo migliore, saltato in campo mentre gli ungheresi cantavano l’inno. E vallo a spiegare a Goretzka, che dopo aver fatto un gran gol, ha sentito gli ungheresi intonare dagli spalti un nuovo inno: «Tedeschi/tedeschi/omosessuali». Il policampista è andato oltre, correndo verso di loro, pollici e indici delle mani uniti a forma di cuore. Sembrava quasi un pezzo di una canzone dei Baustelle: «Io vi amo/… vi amo tutti/è bello e brutto/io non lo so». E chi lo sa Leon, ma quello che è successo, il gol e tutto il resto, vale più di mille parole.
Anche di più di quella foto dove tenevi in mano una bandiera nera con su scritto «niente calcio per i fascisti», dicendo forte e chiaro cosa pensi dell’AfD, partito di estrema destra, e cioè «spero che alle prossime elezioni perda più voti possibili». Grande Leon. Perché se la comicità è tutta una questione di tempi, la cosa vale ancora di più per la solidarietà. Ora però proveranno in tanti a farti scivolare. Se avessi bisogno di un consiglio segui questo: fregatene e pensa a Paul Breitner.

Paul Breitner, 1974

Anche lui giocava in un grande Bayern e nella Nazionale dell’Ovest, figlio di una Germania divisa. Erano gli anni Settanta, il Bayern ovviamente vinceva, la Germania dell’Ovest anche di più.
E poi hanno Breitner, fa il terzino, ovviamente sinistro, ma può giocare ovunque ed è con lui che parte questa storia del tuttocampista. Ha una faccia che sembra uscita da una tela del maestro olandese Bruegel, barba ispida, capelli anarchici che gli valgono il soprannome di «Der Afro». Sembra fuori contesto, ma sono balle. Gira con il Libretto Rosso e lo legge pure, dice che il suo sogno sarebbe vedere gli americani perdere in Vietnam, meglio che vincere un Mondiale.

DICONO che vorrebbe dare il Pallone d’Oro a Mao. Però un Mondiale lo vince, quello in casa, nel 1974. In finale batte l’Olanda, dove erano tutti fortissimi e Johann Cruijff era divino. Loro passano in vantaggio, poi anche alla Germania viene dato un rigore. Nessuno vuole batterlo, ci pensa Breitner. Anche i compagni possono sbagliare, ma sul rigore non li freghi. Infatti è l’1-1, che apre la strada alla vittoria finale. Nel 1978 non va in Argentina, non può tollerare quella terribile dittatura. Vince anche un Europeo, nel 1972. Batte in finale l’Unione Sovietica ed è una vittoria sofferta per Paul.
Poi però raccontano che sia andato a sbattere, contro i cartelloni pubblicitari. Insomma, questione di quattrini. Accetta di trasferirsi dal Bayern al Real Madrid, che è la squadra spagnola del dittatore Francisco Franco. Lo riempiono di fischi, se ne infischia. Torna in patria, la leggenda vuole che vada a giocare per un club della Germania dell’Est. È una leggenda? Sì, ma perché indagare. Si taglia la barba, per fare la réclame di un dopobarba. Altri giudizi. Però fidatevi: la coerenza senza grandi idee può non valere nulla.

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