Lavoro

Gli esclusi dal bonus 600 euro sono 1,1 milioni

Gli esclusi dal bonus 600 euro sono 1,1 milioni

Misure tampone Un dato clamoroso che dimostra la necessità di un reddito di base aggravata dall'emergenza. Ma il rischio è quello di moltiplicare misure occasionali e a tempo che possono moltiplicare la crisi una volta terminate già a partire dall'estate. Il "reddito di emergenza" che sarà istituito dal "Decreto maggio" sembra seguire l'impostazione di un welfare categoriale e a geometrie variabili. La ministra del lavoro Nunzia Catalfo: «Il sistema è frammentato, ma non possiamo riformarlo nel corso dell'emergenza». La regione Lombardia contro l’Inps sui dati della cassa integrazione in deroga erogata in ritardo dalle regioni

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 5 maggio 2020

Gli esclusi dal bonus da 600 euro per le partite Iva sono 1,1 milioni. Su 4.772.178 domande, 225 mila sono state le domande errate, circa 300 mila respinte per cumulo con pensione o «reddito di cittadinanza», mentre 630 mila non avevano i requisiti corretti. È un dato clamoroso che conferma il dramma che si vive in questo paese. Le esclusioni decise per ridurre la platea potrebbero aumentare con il varo del «decreto maggio» che intende aumentare il bonus a mille euro per le partite Iva che hanno perso il 33% del fatturato, facendo restare un’altra platea a 600 euro.
Questa vicenda dimostra quanto il reddito e le tutele siano urgenti per milioni di persone. Un bisogno che è stato aggravato dall’emergenza attuale. Pensare che questa emergenza si esaurirà in estate è la premessa per aggravare la crisi che può segnare l’implosione di un Welfare inadeguato e arretrato, senza considerare una coraggiosa e necessaria riforma universalistica, fondata sul diritto all’esistenza, non sulla riduzione del danno che oggi è presunto, non determinabile come nel lavoro dipendente. Invece di semplificare il governo sta complicando la situazione, aggiungendo altri bonus che rispecchiano la divisione capitalistica del lavoro, non un progetto universalistico di tutela.

Ieri la regione Lombardia ha attaccato l’Inps sul monitoraggio dell’erogazione della cassa integrazione in deroga. Secondo l’Inps, fino al 3 maggio, l’amministrazione leghista avrebbe decretato un primo invio di 37 domande, di cui 33 pagate, e un secondo flusso più sostanzioso con oltre 19.800 domande, di cui solo 6.484 pagate. Per la regione si tratterebbe di una «fake news» e di uno «scaricabarile» sulle responsabilità dei ritardi di pagamenti che sarebbero dovuti avvenire entro il 30 aprile. Per gli uffici regionali le domande sarebbero 48.209, mentre è stato anche costituito un fondo regionale per anticipare l’ indennità ai lavoratori in cassa integrazione ordinaria, inclusi quelli gestiti dall’Inps. Per l’assessore regionale Melania Rizzoli lo scontro può finire in tribunale se. Fondatezza, o meno, dei rispettivi dati, lo scontro lombardo e i ritardi dell’erogazione dell’integrazione salariale a sostegno delle imprese che non possono ricorrere agli strumenti ordinari della cassa integrazione ha reso evidente una crisi istituzionale nella materia concorrente del lavoro tra Stato e regioni. A questo è dovuta l’inefficienza e le discriminazioni che colpiscono i lavoratori messi a casa senza un salario comunque ridotto. Una situazione ricorrente a livello nazionale: su 173.565 domande, 85.046 sono state autorizzate dall’Inps e 29.600 sono state pagate a una platea pari a 57.975 beneficiari.

Ben altri numeri riguardano la cassa integrazione ordinaria e l’assegno ordinario: al 3 maggio erano 8.092.987, di cui 5.262.131 hanno avuto l’importo anticipato dall’azienda con conguaglio Inps, mentre 2.830.856 avranno il pagamento diretto da parte dell’Inps. Le domande al vaglio sono 120 mila. Di queste 54.300 sono state autorizzate. Lo sforzo, pari a 13 miliardi di euro, è tale da porre al governo anche un problema di sostenibilità delle risorse per prorogare le casse di altre nove settimane in vista del «decreto maggio». Potrebbe essere previsto un miliardo in più, anche se domenica sera c’era un problema sulla copertura di sette miliardi dovuto a un «errore di calcolo» sul quale l’Inps e il ministero del lavoro hanno negato la responsabilità.

Alla radice, i problemi di questo Welfare emergenziale sono causati dalla concezione categoriale che ha prodotto una giungla di interventi a sostegno delle imprese, non anche della tutela integrale dei diritti sociali dei lavoratori ai quali il sussidio potrebbe essere erogato direttamente. Il governo ha compreso la situazione, Conte ha chiesto «scusa» il primo maggio. Ma si sta rinviando una riforma (della cassa in deroga?) al termine dell’emergenza. «Cambiare le regole ora – ha ribadito la ministra del lavoro Nunzia Catalfo – sarebbe complesso, il sistema è molto frammentato e complesso».

Un altro contributo alla frammentazione arriverà dal «reddito di emergenza», così come descritto da una bozza diffusa nei giorni scorsi. Invece di estendere, senza vincoli, il «reddito di cittadinanza», comprendendo nella misura esistente una platea che sembra di oltre 2 milioni di persone. In questi giorni sarebbe in corso un confronto nella maggioranza tra chi vuole che sia l’Inps a erogare il bonus (M5S) e chi invece che lo facciano i comuni (Italia Viva). Sarebbe un altr

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