È di questi giorni l’anniversario della morte di Claudio Varalli e di Giannino Zibecchi uccisi rispettivamente il 16 e il 17 aprile 1975. Non si può parlare degli scontri di quegli anni come di un generico clima di violenza senza sottolineare che il generatore di quella violenza fu un disegno stragista condotto dai fascisti, tanti dei quali legati al MSI, dai servizi segreti e da altre forze ancora in parte oscure.

Le più importanti stragi: piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969); l’attentato di Peteano (31 maggio 1972); l’attacco alla questura di Milano (17 maggio 1973); la strage di Brescia (28 maggio 1974); la bomba sul treno Italicus (4 agosto 1974); il massacro alla stazione di Bologna (2 agosto 1980).

Dalla sede di Milano del MSI partì il corteo da cui fu lanciata la bomba che il 12 aprile 1973 uccise l’agente di polizia Antonio Marino. Alla manifestazione partecipava, oltre a Ignazio La Russa, anche il capopopolo della sedizione di Reggio Calabria Ciccio Franco, del MSI. Fu guidato da Junio Valerio Borghese, già presidente del MSI, il tentativo di colpo di stato del 1970. Nel 1973 la magistratura individuava un progetto di colpo di Stato promosso da “Rosa dei venti”, organizzazione segreta neofascista collegata ad ambienti militari.

Le premesse di quella stagione furono poste dal convegno organizzato dall’Istituto Alberto Pollio di Studi storici militari nel maggio 1965 a Roma, presso l’Hotel parco dei Principi.

Con la strategia stragista s’intendeva impedire il processo di democratizzazione del Paese; eppure, grazie alla costante risposta unitaria e popolare di lavoratori e studenti e alla politica lungimirante di tante forze democratiche, l’Italia visse una grande stagione di rinnovamento: lo Statuto dei lavoratori, l’abolizione delle gabbie salariali, le 150 ore per il diritto allo studio dei lavoratori, i Consigli di fabbrica, il divorzio, l’aborto, il nuovo diritto di famiglia, la riforma sanitaria. E a tutto ciò corrispose un’espansione della democrazia e una straordinaria emancipazione dei costumi dell’intero Paese.
La violenza ci fu a partire dalla strage di piazza Fontana; furono tanti i morti negli scontri di quegli anni, e in quel clima avvenne il rogo di Primavalle, un barbaro delitto di estremisti di sinistra.

Al tempo delle stragi fasciste seguì il tempo del terrorismo brigatista. Ne furono vittime agenti di polizia, carabinieri, magistrati, personalità della politica. Fu assassinato l’operaio comunista Guido Rossa e il giudice Emilio Alessandrini. Il culmine dell’attacco al cuore dello Stato fu l’omicidio di Aldo Moro nel 1978. Vi furono delle drammatiche code nei decenni successivi, come gli omicidi di Roberto Ruffilli, Massimo D’Antona, Marco Biagi.

Se è accertata la responsabilità di coloro che parteciparono alla lotta armata, sono ancora oscure le complicità nazionali e internazionali.

Sta di fatto che con l’assassinio di Aldo Moro si interruppe in modo definitivo il processo che doveva superare la cosiddetta conventio ad escludendum dei comunisti dal governo del Paese. Davanti agli attacchi terroristici, nonostante la costante risposta popolare, si diede il colpo di grazia al tentativo di rinnovamento della politica avviando una progressiva riscossa della reazione, in un avvitamento che avrebbe portare a cancellare o ridimensionare buona parte delle conquiste sociali e politiche di quegli anni.

Sarebbe ora di far luce sulle responsabilità dei servizi segreti, della P2, di Gladio, della Cia e dei servizi di altri Paesi, della Nato. Basti pensare alle parole della Corte d’assise di Bologna di pochi giorni fa in merito alla strage della stazione: “Possiamo ritenere fondata l’idea (…) che all’attuazione della strage contribuirono in modi non definiti, ma di cui vi è precisa ed eclatante prova nel documento Bologna, Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in D’Amato (ndr: già direttore dell’Ufficio Affari Riservati ) la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo”. Nelle carte processuali Mario Tedeschi, già dirigente del MSI, è indicato, insieme a D’Amato, come uno dei responsabili del depistaggio finalizzato a coprire i mandanti della strage.

Se si ragiona su un bilancio di quegli anni, le istituzioni devono fare chiarezza su tali responsabilità su cui da decenni è piombata una coltre di silenzio, e, assieme, sulle responsabilità dei fascisti in generale e di dirigenti del MSI in particolare.
Nella sostanza non si può ridurre quella stagione caratterizzata da una sorta di guerra a bassa intensità – centinaia e centinaia di morti – come un generico tempo di violenza; furono gli anni del più grande cambiamento del nostro Paese dal dopoguerra e del più feroce attacco alla democrazia. Non ci può essere alcuna pacificazione nazionale nascondendo o negando quel disegno criminale, e tanto meno essendo reticenti sulle basi storiche e ideali della repubblica, e cioè la Resistenza e l’antifascismo. Non si può scrivere la storia degli anni 70 senza verità.

* presidente nazionale dell’ANPI