Cultura

Giuseppina, l’«utopista concreta» che ci manca

Giuseppina, l’«utopista concreta» che ci mancaUgo Rondinone, «Seven Magic Mountains» (Las Vegas, Nevada 2016) – Gianfranco Gorgoni

Maestra di vita Un convegno al Senato apre un percorso di elaborazione del pensiero e delle prassi di Giuseppina Ciuffreda. Giornalista «atipica», radicale ma non settaria, eretica in un collettivo di eretici per antonomasia. Antesignana della trasformazione tra un vecchio mondo antropocentrico e un futuro biocentrico

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 2 dicembre 2016

C’erano i comunisti, c’erano i liberali, c’erano i riformisti, le femministe, i movimentisti, c’era perfino qualche “fricchettone” e qualche timido ambientalista. E poi c’era lei. Un ponte tra tutte queste culture e molto di più. Nella redazione di via Tomacelli – erano gli anni ’80 – in quel collettivo di donne e uomini opinion maker della sinistra estrema italiana, che quasi intimorivano i giovani militanti che si avvicinavano per la prima volta a quel consesso eretico per antonomasia, Giuseppina Ciuffreda spiccava per un’intelligenza che appariva subito complessa, ricca di spiritualità, colpiva per la forza, il coraggio, per la sua umanità. Intellettuale, scrittrice e giornalista «atipica», radicale ma non settaria, colta, non solo erudita, e sempre molto curiosa, aperta, visionaria, «capace di visione strategica e quindi politica nel significato più alto del termine», eretica tra gli eretici.

«Utopista concreta», l’hanno definita non a caso – «perché ogni altra definizione sarebbe stata restrittiva» – i tanti, amiche e amici, che si sono riuniti in una sala del Senato (ospiti della presidente del gruppo misto Loredana De Petris) per ricordarla il 30 novembre, nell’anniversario della sua nascita, a diciassette mesi dalla sua morte. Un amarcord, sì, pieno di nostalgia e di amore, ma soprattutto l’inizio di un percorso di elaborazione e valorizzazione del «contributo teorico e pratico – perché in lei pensiero e azione coincidevano – fortemente innovativo che ci ha lasciato».

Hanno cominciato a tessere la trama della memoria collettiva dell’eredità straordinaria di Giuseppina, le amiche di sempre, le compagne di una vita – in sala Grazia Francescato, Biancamria Frabotta, Norma Rangeri, Edvige Ricci, Giovanna Ricoveri; e con i loro messaggi Rossana Rossanda, Lidia Campagnano, Jutta Steigerwald, Vandana Shiva – e poi la più giovane Marica De Pierri che a nome del collettivo A Sud ne ha parlato come «una delle nostre maestre». E ancora gli amici e i compagni: Wolfgang Sachs, Gianni Riotta, Aldo Garzia, Valentino Parlato, Tommaso Di Francesco e molti altri. Come in un puzzle, anche attraverso le letture dei suoi articoli a cui ha dato voce l’attrice Ilaria Drago, si sono riannodati i fili di un pensiero politico estremamente moderno, precursore, una personalità da considerare «uno dei punti luce del cammino che ci sta davanti».

Lei che poneva l’accento sulla contraddizione tra capitale e natura, bypassando la classica dicotomia marxiana: «Una costante accomuna i defunti grandi partiti del movimento operaio, la sinistra catto-liberal, i rifondanti, gli innovatori hi-tech, i teorici del comune, e tutti loro ai liberali e gli economisti classici, ai Chicago boys e alle Chiese, nonostante le differenti visioni e l’opposizione politica: la rimozione della natura. È un abbaglio moderno che destra e sinistra condividono, ancorati entrambi al binomio produttivo ottocentesco capitale-lavoro», scriveva Ciuffreda sul manifesto del 18 maggio 2010, e da quel momento in poi diventa punto di riferimento essenziale della rivista Capitalismo Natura Socialismo, costola di quella californiana fondata da James O’Connor.

manifesto ita Giuseppina Ciuffreda
Giuseppina, che «non strombazzava il femminismo ma lo praticava», che dava un grande peso ai «piccoli gesti» e ai «grandi progetti», ai movimenti che lottano, grandi o piccoli che siano, e «lottando costruiscono un’alternativa». Lei che «non credeva né nel mercato né nello Stato, ma nei commons, i beni comuni», ben prima che entrassero nel linguaggio corrente. Lei che scriveva sul manifesto nel 1996 «La preghiera fa bene alla salute», lei che aveva «esplorato le sorgenti della saggezza sia della tradizione occidentale che di quella orientale», che «si muoveva verso una spiritualità agnostica, un’etica secolare» (Sachs), lei che attraverso le metafore astronomiche ti conduceva per mano nella lettura della fase politica globale, lei che sapeva cogliere i segni e le coincidenze del cosmo seguendo l’approccio di Jung, non della new age.

«Protagonista antesignana della trasformazione in corso – scrive Ricoveri in un breve saggio introduttivo al convegno – tra un vecchio mondo antropocentrico, che stenta a morire, e un futuro biocentrico». Erano concetti presenti ma fortemente dibattuti all’interno del collettivo dove trascorse gran parte della sua esistenza. «Il profilo di Giuseppina si annoda e si snoda nei molti fili del manifesto – afferma Norma Rangeri – un’esperienza che lei sopravanza, grazie alla militanza femminista e ambientalista, due ossi duri anche dentro al manifesto».

Lo ricorda anche Rossana Rossanda che del rapporto con la sua «cara protettrice e amica incondizionata, sempre un passo avanti su se stessa» sottolinea: «Ti faceva seguire anche itinerari del tutti insoliti, irrituali. Adesso non saprei come definire diversamente la sua curiosità anche per certi aspetti misterici dell’esperienza. Mi comunicava: vado qualche giorno in Scozia per una festa del plenilunio. Scrisse sempre quel che voleva. Una sola volta ebbi un sussulto di fronte a una troppo evidente differenza di formazione e cultura: riempì una pagina di elogi per i Cavalieri templari. Superavamo sempre dissensi e differenze per affetto e protezione l’una per l’altra».

Ciuffreda non ebbe un’esistenza agiata. Alla fine degli anni ’80, ricorda ancora Rossanda, «la sua vita non semplice conobbe la tragedia: all’inizio di un pesante novembre, suo figlio, che curava da sé una tossicodipendenza, venne arrestato e messo senza soccorso a Regina Coeli. Vi morì. Giuseppina poté vederne soltanto le fotografie, crudelissime, mentre le fu rifiutato di rendergli giustizia». Un dramma che visse sempre con grande riservatezza, rifiutando di farne un argomento di battaglia (o speculazione) giornalistica.

Ma il giornalismo di razza ce lo aveva nel sangue, soprattutto quello delle «notizie positive». Fu «la prima giornalista straniera a raccontare in diretta la destituzione di Ceausescu», ricostruisce Ricoveri. E il suo «entusiasmo per Lech Walesa» irritava non poco «gli ortodossi del manifesto» tra i quali si auto annovera Aldo Garzia: «Intuì – afferma l’ex corrispondente da Cuba – che il caso polacco apriva un’èra. A lei premeva farci capire che non c’era niente da salvare in quel mondo, che dovevamo prenderne atto». E poi ancora le rivolte di Ungheria, Bulgaria e Romania, e l’America latina, il sud del mondo, le proteste indigene, Seattle, il Global forum del ’92. Nelle sue rubriche – da «Che aria tira» degli anni ’90 fino ad «Ambiente viziato» che pubblicò fino a gennaio 2013, già malata – condensava in sole 60 righe una mole incredibile di notizie, studi e informazioni.

Avrebbe dovuto essere seduta lì, al Senato, anche Giuseppina. Norma Rangeri la evoca perché, dice, «avremmo dovuto pensarci prima e riunirci, con lei viva, per riflettere insieme». Anche se, conclude Francescato, «ce n’est qu’un début, continuons le combat». In progetto la pubblicazione dei suoi scritti, una serie di conferenze e forse anche una fondazione. I fili da dipanare sono mille ma, come ha detto Aldo Garzia in conclusione, «il suo insegnamento lo racchiudo in una formula: l’elogio dell’incoerenza. Mi ha insegnato che l’incoerenza è utile e fertile».

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