La redazione consiglia:
Giorgina Pi, penalizzati «dal vivo» e senza considerazioneUna discarica. Nell’oscurità fumosa che pochi fasci di luce non riescono a diradare si distinguono a mala pena la carcassa di un’automobile, quel che resta di una roulotte coperta di graffiti, bidoni metallici e tanti copertoni di pneumatici che ora servono per sedersi. Si presenta così, nello spettacolo di Giorgina Pi e della sua compagnia Bluemotion, la città di Argo che il testo di Pasolini vorrebbe bagnata da un bel sole di una primavera e invece si rovescia in una lunga notte che annebbia i confini anche temporali.
Pilade è il primo testo pubblicato, nel 1967, del teatro in versi di Pier Paolo Pasolini, lingua poetica che si tramuta in toni civili. E secondo tratto del progetto di Ert di presentare nel corso della stagione tutti i testi teatrali dell’autore friulano, affidandone la realizzazione a registi della generazione più recente. E questa lettura ravvicinata sollecita anche i confronti, per esempio con il Calderon di Fabio Condemi visto pochi mesi fa. Là il tema della borghesia come prigione da cui non è possibile uscire. Qui il conflitto fra riformismo e rivoluzione, dov’è palese l’archetipo del mondo tragico greco.Lo scontro più doloroso è però con l’amico Pilade, «timido maestro» ma anche «anima in pena» in cui si riconosce un po’ l’autore.

ORESTE torna nella sua città dopo che il tribunale istituito da Atena l’aveva assolto dal matricidio commesso insieme alla sorella Elettra. Le Furie che l’avevano perseguitato si sono tramutate in benevole Eumenidi e lui vuole portare nella città il regime sancito dalla nascita ad Atene della prima assemblea democratica. Non più re ma eletto dal popolo vuole essere. Eccolo infatti che microfono in mano tiene un suo comizietto da politico ben temperato. È tornato per cambiare le istituzioni. E infatti poi il coro dei cittadini è contento, la città fiorisce. Mentre è rottura con la sorella Elettra che non vuole sottrarsi a un passato che vede luminoso.

LO SCONTRO più doloroso è però con l’amico Pilade, «timido maestro» ma anche «anima in pena» in cui si riconosce un po’ l’autore. Portatore di una diversità che si è fatta carne e scandalo e gli permette di vedere il ritorno delle forze del passato nel male misterioso che uccide il bestiame. Rivoluzionario riluttante, lo stato vorrebbe sovvertirlo, non cambiarlo. Ma la rivoluzione è stata un’altra da quella sperata. Il mondo si muove, tu sei vecchio – gli dice Oreste quando si incontrano di nuovo.
Nel bagliore rosso che annuncia la seconda parte, li ritroviamo tutti ancora riuniti lì. I due protagonisti Gabriele Portoghese e Valentino Mannias; l’Atena di Sylvia De Fanti, tailleur grigio e stivali dal tacco altissimo che eccitano il feticismo ideologico di Oreste, e l’Elettra di Aurora Peres, abbracciata al mazzo di fiori che rappresenta il quotidiano tributo alla tomba dei genitori; il coro di Nico Guerzoni e Laura Pizzirani e la ragazza Cristina Parku e altri ancora fra cui un gruppo di africani che hanno preso il posto degli operai delle fabbriche. È l’ora delle profezie. E la maledizione di Pilade agli dèi non risparmia alla fine l’ingannevole ragione.