Giorgina Pi, penalizzati «dal vivo» e senza considerazione
Teatro Una intervista con la regista e attivista dell'Angelo Mai di Roma: «Crediamo nella lotta del reddito universale. I tagli alla cultura e al suo patrimonio non si sono arrestati. Oggi saremo in piazza a Roma. Ci interessa che venga riconosciuta la specificità dei nostri mestieri. Le richieste sono ancora inevase e la riforma del sistema teatro insufficiente»
Teatro Una intervista con la regista e attivista dell'Angelo Mai di Roma: «Crediamo nella lotta del reddito universale. I tagli alla cultura e al suo patrimonio non si sono arrestati. Oggi saremo in piazza a Roma. Ci interessa che venga riconosciuta la specificità dei nostri mestieri. Le richieste sono ancora inevase e la riforma del sistema teatro insufficiente»
Saranno molte le realtà che oggi prenderanno parte alla manifestazione romana per lo «Stato di agitazione permanente» di lavoratori e lavoratrici dello spettacolo e della cultura. All’appuntamento previsto in piazza San Giovanni (ore 15) ci sarà anche Giorgina Pi, regista, attivista e femminista che fa parte del collettivo e spazio indipendente Angelo Mai, punto di riferimento per la scena romana e nazionale e che, con Bluemotion, ha lungamente lavorato sulla messa in scena di alcuni testi di Caryl Churchill (grazie al confronto con Paola Bono, curatrice e traduttrice dei sei volumi della drammaturga britannica per Editoria&Spettacolo), e più di recente sull’esplosiva Kate Tempest (pubblicata da e/o).
«Da sempre, come Angelo Mai, partecipiamo attivamente ai movimenti per i diritti di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo – conferma Giorgina Pi, raggiunta per qualche domanda -. Non siamo tra i promotori ma naturalmente condividiamo molte delle istanze portate avanti in questo momento»
Ci sono categorie più esposte?
Seppur con specificità differenti, le categorie sono tutte esposte. Sono state portate avanti lotte molto radicali in merito a queste e altre richieste negli ultimi anni. Inevase. I tagli alla cultura e al suo patrimonio non si sono arrestati. La riforma del sistema teatro è insufficiente a tutelare lavoratori e lavoratrici, inabile a rilanciare un settore che da sempre vede mal distribuite le sue già esigue risorse.
Le richieste in questo preciso momento storico hanno radici più antiche.
Il problema è strutturale: non abbiamo un’intermittenza. Non viene considerata la specificità del nostro lavoro. C’è un atteggiamento paternalistico alla base di questa scarsa tutela, una sorta di possibile discrezionalità – sottile e subdola – che rende molto spesso gerarchici e personalistici i rapporti. Le rendite di posizione si rafforzano in questa confusione e l’ultima riforma dello spettacolo dal vivo ha consacrato l’impossibilità del nostro sistema a redistribuire sensatamente il lavoro.
Sono riconoscibili alleanze con le battaglie del reddito?
Ancora poche purtroppo, ma iniziano a esserci. Come Angelo Mai crediamo profondamente nella battaglia del reddito universale che ci liberi da eredità patriarcali della visione del lavoro. Ci interessa che venga riconosciuta la specificità dei nostri mestieri – che ha a che vedere con discontinuità lavorativa, formazione continua, lunghi periodi di studio e di prove – ma non crediamo in alcuna forma che possa sottintendere un giudizio meritocratico.
Lo Stato non deve dirci che siamo bravi, questione molto scivolosa rispetto all’idea banale di arte e talento. Semplicemente lavoriamo e non lavoriamo come gli/le altri/e e abbiamo diritto, come tutti e tutte a una continuità di reddito, assistenza sanitaria e diritto all’abitare.
Un tavolo di confronto tecnico-istituzionale sulle riaperture può essere utile? Come si può immaginare?
Sarebbe utilissimo e anzi dovrebbe essere la prassi. Dovremmo essere convocati sempre ai tavoli di lavoro in cui si prendono decisioni per noi. Vogliamo partecipare alle decisioni che riguardano il nostro lavoro, il nostro futuro, e ora più che mai, la nostra salute. Lo immagino il più possibile rappresentativo delle realtà lavorative, degli spazi che agiscono nel campo culturale, il più possibile direttamente rappresentativo delle differenze, delle specificità che caratterizzano il nostro «mondo».
Ci sono esempi più virtuosi in Europa sul sostegno a lavoratori e lavoratrici dello spettacolo in periodo di pandemia. L’abbandono è invece un problema culturale e politico che riguarda l’Italia?
L’abbandono e la trascuratezza sono sempre funzionali a proteggere lo status quo. Decisioni e stanze dei bottoni nelle stesse mani e negli stessi luoghi. Non lavorare sui diritti per continuare a donare privilegi in un sistema basato sulla sudditanza. Parliamo di cose orribili ma vere, inaccettabili. Poi ci sono i finti scandali, gli intrighi di palazzo, per distruggere e infamare persone e non sistemi, proprio come sta accadendo in questi giorni nei confronti della direzione di uno dei teatri più importanti d’Italia. Da femminista pratico il conflitto relazionale e tutto ciò mi fa orrore.
In che modo vi state muovendo verso il futuro?
Osservo e ascolto le necessità più intime che emergono, quelle mie e del mio collettivo e insieme i cambiamenti intorno. Fondamentali sono le alleanze etiche e le lungimiranze poetiche. Tra donne certamente è più semplice. Ecco mi muovo per un teatro sempre più pieno di donne in tutti i suoi ruoli, artistici e non solo.
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