Giampaolo Pansa, un caposcuola spiazzato dalla 2° Repubblica
Lutti La sua figura resta legata agli anni della cosiddetta prima repubblica, quando la sua firma scintillava e lui era un personaggio, molto più che un inviato. Erano anche gli anni in cui i giornali contavano molto e i loro giornalisti di punta avevano un grande peso. Pansa a lungo è stato uno di questi
Lutti La sua figura resta legata agli anni della cosiddetta prima repubblica, quando la sua firma scintillava e lui era un personaggio, molto più che un inviato. Erano anche gli anni in cui i giornali contavano molto e i loro giornalisti di punta avevano un grande peso. Pansa a lungo è stato uno di questi
Gli articoli di Giampaolo Pansa hanno raccontato un’epoca della politica italiana che sembra ormai remota. Già consegnata alla storia. Certo, il giornalista scomparso domenica scorsa ha lavorato anche nella fase finale della sua malattia (la tv, un libro su Salvini), ma la sua figura resta legata agli anni della cosiddetta prima repubblica, quando la sua firma scintillava e lui era un personaggio, molto più che un inviato. Erano anche gli anni in cui i giornali contavano molto e i loro giornalisti di punta avevano un grande peso. Pansa a lungo è stato uno di questi. Una generazione, la sua, che ha cambiato il giornalismo italiano, non solo dando vita a giornali innovativi, come Il Giorno, l’Espresso, la Repubblica, – per citare quelli nei quali Pansa ha lavorato sempre in posizioni di rilievo – ma anche modernizzandone il linguaggio, lo stile, il piglio, le gerarchie, l’impaginazione.
Prima d’allora la politica era condensata in un “pastone”, un pezzo algido sui fatti principali della giornata romana del governo e dei partiti, accompagnato talvolta da un articolo di fondo. L’evoluzione lessicale e l’ampliamento dei generi portano la politica all’inizio dello sfoglio. I giornali mettono in primo piano le loro firme di spicco, pensano che la politica “tiri”. E inizia un gioco di reciproci rimbalzi tra politica e stampa, e anche d’intrecci e complicità. Una relazione, alla lunga, non proprio salutare, né per la qualità dei media né, più in generale, per la qualità stessa di una democrazia funzionante. Se si esclude il manifesto, la stampa svolgeva sempre meno la funzione che pure ebbe negli anni Sessanta e Settanta, riducendo sempre più il genere dell’inchiesta a favore di un giornalismo che racconta le gesta dei capi, i machiavellismi, gli intrighi, i tradimenti, e, anche quando critica, lo fa prevalentemente con tono canzonatorio, che piace perfino ai diretti interessati, che si sentono parte di un racconto epico. Ed ecco che la «balena bianca», «le truppe mastellate», «l’elefante rosso» – le invenzioni ormai celebri di Giampaolo Pansa – entrano nel linguaggio corrente, perdendo la forza del graffio che avevano all’inizio. Anche verso gli altri partiti, il Psi e lo stesso Pci, la chiave narrativa non cambia.
Piazza del Gesù, Botteghe Oscure, via del Corso, il Transatlantico, la politica raccontata è quella dei Palazzi. S’arriva così, come d’improvviso, a Tangentopoli. Alle rivelazioni sui rapporti stato-mafia. Un altro paese avrebbe visto i media e non i giudici scoperchiare il vaso di Pandora di una corruzione diffusa, ma non il nostro, dove, se uno va in un’emeroteca e legge le cronache dei mesi precedenti, non trova traccia né presentimento di quello che sarebbe successo. Sono cronache da un altro pianeta.
Ed è interessante che la scomparsa di un giornalista principe di quell’epoca coincida con la grande discussione accesa dalla ricorrenza dei vent’anni della morte di Craxi e di un film che fondamentalmente ne rivaluta la figura, insieme a tanti altri libri usciti in questi giorni sul leader socialista.
Negli articoli sulla scomparsa di Pansa, come in quelli su Craxi e sul film Hammamet, si nota un’evidente nostalgia per quei tempi, per i personaggi che ne furono protagonisti, probabilmente per contrasto con la realtà attuale non esaltante e scivolosa.
Il passaggio all’epoca successiva spiazzò un personaggio che ebbe un ruolo centrale in quella che s’era chiusa traumaticamente. Pansa letteralmente perde la bussola. Se nei tempi della prima repubblica, ne era un protagonista simpatico e affabile, e se la sua arma preferita era il fioretto, anche con i democristianoni, dopo scopre il fascino del rancore e della durezza, preferibilmente nei confronti del campo politico e culturale nel quale era cresciuto e aveva trovato la fama.
Conosce il successo con libri molto discutibili, nella pretesa di illuminare zone d’ombra della Resistenza, quando già da tempo storici di valore come Claudio Pavone si sono misurati senza censure con le vicende dure della lotta partigiana. Scrive su giornali che un tempo non avrebbe neppure usato per incartare il pesce.
Personaggio complesso e complicato. Ci piace ricordarlo per l’indiscutibile simpatia contagiosa dei tempi della Balena bianca.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento