Visioni

Garbarek, nuovi ritmi archetipici per un linguaggio globale

Garbarek, nuovi ritmi archetipici per un linguaggio globaleJan Garbarek

Musica Alla Casa del jazz di Roma il concerto del sassofonista norvegese insieme al percussionista indiano Trilok Gurtu

Pubblicato più di un anno faEdizione del 30 giugno 2023

Suono, pause, canto. Ritmo, voce, battito. La musica del sassofonista norvegese Jan Garbarek e del percussionista indiano Trilok Gurtu (in quartetto, con il bassista brasiliano Yuri Daniel e con il veterano tastierista Rainer Brüninghaus) si muove, ammaliante e sincera, su questi assi.

DA DECENNI Garbarek (76 anni) è il simbolo di un jazz europeo che attraversa, nutrendosene, folclori e tradizioni (persino il canto gregoriano), che innova partendo da una base coltraniana in direzione di una mondializzazione del linguaggio jazzistico (processo iniziato fin dagli anni ’60). Gurtu (72 anni) unisce una conoscenza profonda delle tablas (cuore ritmico della musica classica indiana) alla pratica estesa e proteiforme di moltissimi strumenti a percussione, batteria sui generis compresa. Creano il nuovo, danno voce al contemporaneo affondando nel passato e nell’archetipico, in un suono che, a tratti, ha elementi rituali e primordiali (che non vuol dire primitivi).
Era, quindi, inevitabile che questi due musicisti attirassero nel recital alla Casa del Jazz del 28 giugno (rassegna Summer Time) un pubblico vastissimo di appassionati, musicisti, operatori, fan di varie generazioni e gusti sonori.

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IL GRUPPO, a nome di Garbarek, ha usato anche una sua scenografia: un telo bianco quasi avvolgente, quattro grandi spot a lampione e un gioco di luci complice nel creare atmosfere diverse. Gurtu, esuberante ed estroverso, ha impiegato il suo set percussivo sfruttandone le componenti e mettendole in relazione – servendosi anche della voce come elemento ritmico – in un transito tra Asia, Americhe ed Europa. Jan Garbarek ha alternato sax tenore e soprano (ricurvo), padrone ancora di un suono che lo identifica, fatto di frasi che respirano, di melodie semplici come di complessi passaggi, di una tavolozza timbrica e di una dinamica ampie ed originali. Un suono che costruisce ed evoca lo spazio, che sa rendere astratti il funky e la musica etnica.
In una scaletta sapiente, con episodi significativi per i bravi Daniel (un virtuoso del basso) e Brüninghaus (più routiniero ma sempre efficace) il quartetto ha proposto brani dei due leader e materiale tradizionale arrangiato dal sassofonista. La complessità (Stroll, Grisillla) si alternano al lirismo (Margjit, Hurtig), con i due piani che si incrociano di continuo come le policrome percussioni. In Nu Bein si è partiti da una dimensione etnica (Garbarek al flauto di legno) per arrivare gradualmente ad un funky metropolitano, in un viaggio che sa di parabola.
Tanti gli applausi di un pubblico rapito: un raccolto ed intimo Pygme Lullaby – un traditional arrangiato, usato come bis – lo culla senza virtuosismi. Prossime date nei Paesi Bassi (7-8 luglio) al North Sea Jazz Festival e in Germania (11), a Karlsruhe.

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