Alias Domenica

Gaetano De Sanctis, lo storico dell’Antico che si sottrasse al ricatto fascista

Gaetano De Sanctis, lo storico dell’Antico che si sottrasse  al ricatto fascistaEugen Dragutescu, ritratto di Gaetano De Sanctis, 1953

Protagonisti del secolo L'’educazione cattolica nella Roma umbertina, i viaggi archeologici (Grecia, Creta), il duro giudizio sui Savoia, la perdita della cattedra, il dopoguerra... «Ricordi della mia vita», riproposti dalle Edizioni Tored

Pubblicato circa un anno faEdizione del 15 ottobre 2023

La figura dei senatori a vita è oggetto di ricorrenti polemiche, in genere assai rozze e per certo incomprensibili, quando si pensi alla lista dei primi insigniti della carica, istituita con la costituzione repubblicana. Dopo il matematico Castelnuovo e il direttore Toscanini, nel 1950 il presidente Einaudi nominò lo scultore Canonica, l’economista Jannaccone, il poeta Trilussa e lo storico Gaetano De Sanctis. Alcune di queste figure, meritevoli di aver «illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario» (Art. 59), sono oggi poco note fuori dal proprio ambito: ma del professore romano di storia antica, che tra i pochissimi rifiutò il giuramento fascista del 1931, ancora, e per seri motivi, si ragiona. Un allievo che ne ereditò il lascito, pubblicò postumi, nel centenario della nascita, gli inediti Ricordi della mia vita, per Le Monnier. De Sanctis vi narrava le tappe principali della sua lunga esistenza (1870-1957), parlando di formazione, studi, ricerche, maestri, vicende personali e politiche, e rivisitando senza sistematicità momenti della storia italiana, dalla Roma umbertina fino al secondo dopoguerra: un periodo importante, ripensato da una mente di solidissimi principi e dichiarata fede cattolica.
Oltre cinquant’anni dopo la prima edizione, quelle memorie tornano disponibili per la puntuale cura di Antonella Amico (G. De Sanctis, Ricordi della mia vita, Edizioni Tored, pp. 176, € 30,00): la riproposta ha proprio l’intento di indurre anche nei giovani «nuove motivazioni nella scoperta della figura di Gaetano De Sanctis» (p. xiv) . Alla prima pubblicazione erano acclusi anche passi del pur inedito Diario segreto e una scelta dell’epistolario dello storico, entrambi oggetto di successiva pubblicazione (integrale nel caso del Diario segreto, Le Monnier 1996, o parziale per l’amplissimo epistolario, vedi «Alias Domenica», 12/3/2023). La nuova edizione si giova invece di una riflettuta introduzione e di ampie e preziose Indicazioni bibliografiche per lo studio della figura di Gaetano De Sanctis, esito della puntuale ricerca della curatrice, che a De Sanctis ha anche dedicato di recente un agile profilo (Viella 2023).

Apre i Ricordi una riflessione sul colonialismo italiano che, nella difficoltà a datare precisamente la stesura del testo, si può ritenere scritta negli ultimi anni di vita di De Sanctis: essa ben rappresenta la tenace continuità di visione dell’autore, legato all’idea del dovere di civilizzazione e pensoso, ancora nel secondo dopoguerra, sul senso della missione europea in Africa e sulle «singolarissime capacità coloniali dimostrate dall’Italia». Il corso cronologico muove invece dalla Roma divenuta da poco italiana: l’arrivo dei piemontesi era stato un passaggio che la famiglia De Sanctis, già parte dell’amministrazione pontificia, giudicò inaccettabile. La conseguenza fu una chiusura diffidente verso il regno degli usurpatori sabaudi e verso l’esibito anticlericalismo dei primi decenni unitari.

L’intransigenza della famiglia fece trascorrere a De Sanctis una fanciullezza assai severa, fatta «di privazioni, di sacrifizi e di rimpianti», in un «piccolo mondo antico, chiuso quasi interamente ad ogni contatto col mondo moderno». L’educazione cattolica presso il Seminario Romano lo condusse a uno studio molto serio, ma fece di lui anche un fermissimo giudice, anzitutto dei giovani coetanei, soggetti all’influsso «dell’anticlericalismo, dell’ateismo e del positivismo» dominanti nella Roma umbertina (il mondo della Cronaca bizantina e del Piacere è lontanissimo). Non meno severo era lo storico verso la sua Chiesa, come mostrano le osservazioni sopra Pio X, o sopra il trattamento riservato all’amico padre Semeria. De Sanctis si presenta come un cattolico obbediente al non expedit, che ha accettato il percorso nazionale, e ha piena consapevolezza della «intrinseca contraddizione» insita nel dominio temporale dei papi. Favorevole verso il risorgimento, che aveva ridato grandezza all’Italia, esprime perciò un duro giudizio sulle scelte di Vittorio Emanuele nel 1915 e, ancor più, nel 1922: dopo la marcia su Roma «il re spergiuro capitolò a fronte di un avventuriero».

Le memorie, pur selettive, mettono in evidenza le più decisive fasi nella sua vicenda personale e storica. Vi sono i viaggi archeologici in Grecia e a Creta, ante 1900, rievocati per l’avventura, per le scoperte, per il rapporto di vicinanza e lontananza con la Grecia contemporanea, e per i contatti maturati con studiosi di vari paesi europei. Questo segnò il profilo della sua vita accademica: allievo alla romana Sapienza del grande storico tedesco Giulio Beloch, De Sanctis insegnò a Torino dal 1900: sono ricordati quindi i momenti dell’attività universitaria, e i rapporti con i colleghi (Carlo Cipolla, ma anche Arturo Graf e Arnaldo Fraccaroli), tra feconde amicizie e dure polemiche. Vennero poi anni di svolte drammatiche. Per prima, la Grande guerra europea. Con l’entrata in guerra dell’Italia, Beloch fu sospeso (e dopo Caporetto, internato) perché tedesco. A Torino, il neutralista De Sanctis si trovò esposto, per la propria intransigenza, alla canea degli interventisti, ove si distinse il collega Vittorio Cian, nazionalista e poi fascista. La disfatta di Caporetto lo indusse a unirsi, nell’ora tremenda, alla concordia nazionale, ma restando molto critico verso le scelte di Wilson. Dopo gli eventi, notava che la pace di Versailles creava le premesse per una guerra «ancora più feroce e terribile, più distruttiva, più creatrice di condizioni insostenibili»: la fine dell’equilibrio tra le potenze europee conduceva il continente a sottostare a «egemonie extraeuropee».

La vita, per De Sanctis, era magistra historiae: il presente sollecitava questioni volte all’interpretazione del passato: così il dibattito sui responsabili dello scoppio della Guerra europea guidava il suo ripensamento della seconda guerra punica, così l’imperialismo romano era valutato in trasparente dialogo con gli sviluppi del colonialismo europeo moderno. La seconda crisi è quella del fascismo. Dal 1929 De Sanctis era passato a insegnare a Roma. Solo per breve tempo, però: alla fine del 1931 fu dichiarato decaduto per «incompatibilità con le generali direttive politiche del Governo», ossia per aver rifiutato il giuramento imposto dal fascismo. Aveva conosciuto di persona Mussolini nel 1923, per un colloquio legato a una questione di amministrazione universitaria; ne scrive con distacco, ma il giudizio sul regime è duro, e non solo per l’iniziativa del giuramento. Le pagine dei Ricordi sulla ferma scelta di non giurare (e perdere così l’insegnamento) sono memorabili.
Molto notevoli anche i colloqui con amici, colleghi e figure maggiori (Croce).

Gentile viene ricordato come turbato dalle scelte di quanti si sottrassero al giuramento (in termini simili ne scrisse Giorgio Levi Della Vida), quindi come vittima della propria «ingenuità non simulata», che lo fece andare incontro a una fine «dolorosa», coerente con il percorso prescelto. Delle ambiguità (o viltà) dei colleghi cedenti De Sanctis rende conto con ironia venata di sdegno. Con fermezza i Ricordi affrontano poi la fase dell’epurazione post-bellica: quando lo storico, tornato a insegnare e coinvolto nella ricostituzione dell’Accademia dei Lincei, sostenne una linea moderata («non si doveva imitare il fascismo sottoponendo la scienza alla politica»), escludendo ogni spirito di vendetta. Anche in questo caso De Sanctis mostra la propria attitudine ideale, pronta a pagare il costo delle proprie idee, che è assai bene espressa da un suo dialogo con Beloch: all’allievo che asseriva, data occasione, di voler scrivere un’apologia di don Chisciotte, il maestro replicava: «Scrivi la tua biografia; sarà lo stesso».

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