Fuori dal fango, i profughi sorridono
Idomeni Il governo greco decide di trasferire un migliaio di migranti abbandonati settimane al confine macedone in strutture attrezzate. La gestione affidata all’Unchr
Idomeni Il governo greco decide di trasferire un migliaio di migranti abbandonati settimane al confine macedone in strutture attrezzate. La gestione affidata all’Unchr
Tira aria di cambiamento ad Idomeni, il campo improvvisato sul confine greco e diventato tristemente famoso per le condizioni in cui vivono gli oltre 12 mila migranti bloccati dal muro spinato innalzato dalla Repubblica di Macedonia.
Ieri in mattinata una flotta di 20 bus è arrivata posteggiando proprio davanti alle tende. La sola vista ha scatenato il panico tra i migranti e i tanti volontari ignari di quello che stava accadendo. La paura è che fossero iniziati gli sgomberi forzati di cui tanto si è speculato negli ultimi giorni. È proprio la mancanza di informazione uno dei problemi principali a Idomeni e un minimo cambiamento può scatenare il caos.
È stato grazie agli operatori dell’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) che la situazione si è calmata. «Il Governo greco ha messo a disposizione tre nuovi campi e su base volontaria i migranti posso spostarsi e togliersi da questa miserabile condizione» ha spiegato Marco Buono capo dell’ufficio Unhcr a Salonicco in Grecia tranquillizzando i profughi. I tre campi predisposti dalle autorità greche si trovano a circa un’ora di macchina a sud di Salonicco. Le nuove strutture hanno standard minimi in grado di garantire un’adeguata assistenza ai circa 1000 migranti che sono in grado di ospitare. Fino a tarda serata sono partiti i bus e secondo Buono l’operazione dovrebbe continuare nei prossimi giorni.
Il ruolo dell’Unchr è duplice: in primo luogo informare i migranti riguardo queste tre nuove strutture e rassicurarli sulla loro sorte futura; inoltre si occupano della gestione logistica rilasciando i tagliandi che garantiscono l’accesso ai bus. «Prima di accettare questo compito» rassicura Buono, «abbiamo voluto accertarci di alcune cose. Innanzitutto volevamo essere sicuri che non fossero campi di detenzione. Poi volevamo sapere quali erano le condizioni si assistenza, ovvero che ci fossero sistemazioni adeguate, regolare distribuzione di cibo e assistenza medica. Infine, che non ci fossero discriminazioni a seconda della nazionalità». Secondo Buono chiunque voglia spostarsi in questi nuovi campi avrà la possibilità di farlo, sia i migranti economici, sia chi ha diritto alla protezione internazionale.
Salwa, siriana e madre di tre bambini: «Finalmente ce ne andiamo! Non potevamo più resistere. I miei figli non possono vivere in queste condizioni. Non è umano». Sui bus le persone sorridono, ridono e scherzano. Non possono credere di andarsene da Idomeni, dal fango, dal freddo, dalle code infinite per un pezzo di pane. La strada per la Germania, la Danimarca o l’Inghilterra è ancora molto lunga, ma almeno avranno un posto asciutto dove dormire. Tuttavia, alcuni dei migranti rimangono dubbiosi sui veri scopi dell’operazione. Khaled, 32 anni, siriano, non si fida: «Io rimango a Idomeni. Qua le condizioni di vita sono pessime, ma chi ci assicura che là siano migliori? E se è tutta una mossa per riportarci in Turchia? Non mi fido; aspetto che aprano la frontiera e intanto continuo a protestare per i miei diritti».
Ci vorranno diversi giorni prima che i migranti comincino a fidarsi realmente delle buone intenzioni del governo. Anche qua sono arrivate le notizie del centro sull’isola greca di Lesbo dove i migranti vengono detenuti in attesa di essere riportati in Turchia in accordo con il patto Ue-Ankara diventato effettivo dal 20 marzo. Sull’isola greca le condizioni dei migranti sono talmente orribili che l’Unhcr e Medici Senza Frontiere non sono più presenti nella struttura per non essere complici di quelle crudeltà. Nei prossimi giorni le varie organizzazioni no-profit si attiveranno per portare assistenza nei tre nuovi campi disposti dal Governo Greco. Intanto, l’iter per ottenere l’asilo politico, il ricongiungimento famigliare o il ricollocamento in un altro dei paesi membri della Comunità Europea rimane bloccato. Da qualche giorno, le dispositive del governo greco impongono ai migranti di utilizzare Skype per prendere appuntamento con l’ufficio immigrazione. L’appuntamento è necessario per effettuare il colloquio preliminare e ottenere l’asilo.
«No, non è una barzelletta. Queste persone che sono nel campo, buttante nel fango e in queste condizioni, devono poter fare una chiamata Skype per vedere i loro diritti riconosciuti» afferma Vittorio, attivista italiano che insieme ad altri volontari indipendenti ha attivato un info-point nel campo di Idomeni.
Per le richieste di asilo e di ricongiungimento familiare ci sono sei account a seconda della lingua: farsi e dari, arabo, urdu, bengali, albanese, e per i siriani. Mentre per il programma di ricollocamento c’è un account dedicato.
Questi possono essere chiamati solo in alcuni giorni della settimana e per un massimo di una o due ore al giorno. «Solo a Idomeni» spiega Vittorio, “ci sono oltre 12 mila persone, di cui oltre il 50 per cento può fare richiesta di protezione internazionale. Gli account sono troppo pochi e, infatti, la linea è sempre intasata. Ci sono persone che provano ormai da giorni e non hanno mai ottenuto una risposta».
Anche Babar Baloch, portavoce dell’Unhcr, conferma e denuncia la situazione: «Continuano ad arrivare da noi persone frustrate e arrabbiate perché non riescono a prendere l’appuntamento con gli uffici immigrazione. Noi possiamo aiutare le autorità greche, ma di fatto è compito loro gestire le domande». Come se questo non fosse già un problema grave, a Idomeni ci sono molte altre difficoltà. Innanzitutto, il segnale è molto basso e spesso è impossibile connettersi alla rete internet. Senza considerare il fatto che non tutti hanno a disposizione uno smartphone sul quale installare Skype.
Inoltre, le infrastrutture tecnologiche e informatiche che potrebbero aiutare i migranti bloccati a Idomeni ad oggi sono inesistenti. Jean-Pierre Schembri, portavoce dell’Easo (Ufficio europeo di sostegno per l’asilo), ha qualche riserva sull’efficacia di questo provvedimento, ma assicura che «l’Easo sta collaborando con le autorità greche per trovare una soluzione».
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