Visioni

Fruhauf, lavorare sul found footage è come una storia d’amore

Fruhauf, lavorare  sul found footage è come una storia d’amore

Intervista Conversazione con il regista sperimentale austriaco. Le sue opere si basano sull’alterazione e sulla natura transitoria delle immagini

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 2 giugno 2018

La collettiva The remains of cinema, presentata alla Künstlerhaus di Graz, ha raccolto una selezione di film e installazioni di artisti e filmmaker appartenenti a generi e generazioni diverse per indagare l’importanza del cinema in quanto dispositivo che lavora sulla scomparsa e la trasformazione della cultura e della memoria cinematografica. È infatti indubbio che la rilevanza sociale del cinema, come medium che ha segnato e determinato l’immaginario collettivo e la memoria culturale del ventesimo secolo, appartiene al passato. Nella contemporaneità il cinema è solo uno dei tanti linguaggi sulla scena artistica e nell’industria dell’intrattenimento culturale, settore che è in continuo mutamento, attraversato da un flusso di immaginari e segmenti di mercato.

 

Curata da Olaf Möller e parte di Diagonale, Austrian Film Festival, The remains of cinema ha presentato le opere di Mika Taanila, John Baldessari, Erica Baum, Joseph Beuys, Ryusuke Ito, Björn Kämmerer, Johann Lurf, Constanze Ruhm, Hans Scheugl, Viktoria Schmid, Michaela Schwentner, Haim Steinbach e di Siegfried A. Fruhauf.

 

L’installazione di quest’ultimo, Structural Filmwaste. Dissolution 2 consiste in una serie di fotografie in bianco e nero di ingrandimenti di pellicola cinematografica, alterati e distorti, poi processati in un’animazione digitale astratta. È la natura transitoria dell’immagine ad interessare Siegfried A. Fruhauf, regista sperimentale austriaco a cui la scorsa edizione di Filmmaker Festival a Milano ha dedicato un omaggio nella sezione Fuori Formato.

 

 

 

Nato a Grieskirchen nel 1976, Fruhauf è interessato all’alterazione e alla manipolazione della materia filmica. I suoi film attuano strategie di rianimazione di found footage film attraverso l’assemblaggio e l’accelerazione.
Lo incontro a Graz in occasione della mostra e gli chiedo come nascono i suoi lavori. «A volte sono singole immagini ad interessarmi, come accade nel corto Vintage Print, video installazione che ritrae e scompone il paesaggio austriaco. Altre volte sono collezioni di fotografie, penso al corto Palmes d´Or composto da più di 800 foto da me scattate al festival di Cannes, in cui il bianco e nero e l’astrazione contrasta il glam e i colori della Croisette». «In alcuni casi lavoro invece su film amatoriali. La metodologia non è mai prestabilita, è piuttosto il processo di lavorazione a permettermi di esplorare le potenzialità, la durata e la densità del film. Cerco di individuare l’essenza filmica di quelle immagini per poi trovare la forma più adatta di manipolazione. È un processo che può durare anche anni».

 

«Mi affascinano le immagini anonime e amatoriali perchè devono lottare per poter emergere, in quando sopraffatte e sovrastate da quelle mainstream. Lottano per poter emergere e essere reinterpretate, e io, con il mio lavoro di scavo e recupero cerco di restituire loro la visibilità negata, e di attuarne una riproposizione nell’attualità della storia contemporanea, amplificandoli con gli interventi sonori di Jürgen Gruber».

 

 

 

Il suono è per Fruhauf determinante nello sviluppo del film. Spiega: «Lavoro spesso con il musicista Jürgen perchè ci capiamo immediatamente. Non ho bisogno di suggerire nulla, gli fornisco una sequenza di immagini e lui capisce subito quale è il suono più adatto. Quando eravamo studenti all’Università di Linz abbiamo fondato il gruppo ’wunderkinder’, insieme abbiamo curato rassegne di film sperimentali a Heiligenberg, la nostra città natale. Grazie alla nostra intraprendenza e determinazione siamo riusciti a portare in un contesto assolutamente alieno al cinema sperimentale filmmaker radicali e sconosciuti. Per tornare al mio lavoro, il suono ha un valore determinante perché amplifica le potenzialità delle immagini visto che mi interrogo sulla loro temporalità che altero, accelero, scompongo o dilato. E la musica non solo mi accompagna ma struttura e determina il ritmo del film».

 

 

Dell’opera di Fruhauf, che spazia dall’installazione al videoclip, parlavo con Mike Hoolboom a Toronto lo scorso ottobre. Hoolboom è uno dei più significativi filmmaker sperimentali canadesi dopo Michael Snow, attivo sostenitore della scena indipendente, tra i fondatori di Pleasure Dome, collettivo che dal 1989 organizza a Toronto proiezioni di registi internazionali in spazi indipendenti -in Italia è stato presentato a Filmmaker Festival, al Torino Film Festival, e al Sicilia Queer Festival dove Buffalo Death Mask è stato premiato come miglior cortometraggio nel 2014.

 

 

Parlavamo di Heavy Eyes, un corto di 10 minuti di Fruhauf, in cui corpi e volti di adolescenti emergono da un palinsesto di immagini. Ectoplasmi elettronici di narrazioni potenziali in cui le diverse morfologie vengono subito cancellate e/o doppiate per essere parzialmente evocate. «La pratica cinematografica del found footage – osservava Hoolboom a Toronto – permette di riutilizzare e reinterpretare le stesse immagini in un infinito numero di volte, ed è in qualche modo simile all’esperienza dell’amore. Come afferma Jack Lacan, amare significa dare qualcosa a qualcuno che non lo desira. Nel corto di Fruhauf, mi sembra che lo sguardo, che è anche l’emblema del desiderio, altera e divide il soggetto. È uno sguardo che si muove in due direzioni – cancella e trasforma il soggetto, cosi come sdoppia e trasforma colui che desidera. A questo punto mi chiedo: chi è diventato colui che ama? Sta forse producendo una nuova versione di se stesso attraverso il desiderio dell’altro? Heavy Eyes con il suo continuo riformulare e alterare le immagini mi sembra sia una puntuale visualizzazione del pensiero di Lacan».

 

Riporto a Fruhauf la riflessione di Hoolboom e gli chiedo cosa ne pensa. Mi piace questa sua comparazione. Nel distillare la sua essenza, la pratica e il lavoro sul found footage possono essere paragonati all’esperienza di vivere una storia d’amore, poiché entrambe necessitano di una continua e sempre diversa alterazione e trasformazione dell’intensità dello sguardo».

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