Mikel Nieve, Matej Mohoric, Michael Woods, Giulio Ciccone, Valerio Conti, Felix Grosschartner, Koen Bouwman, Robert Gesink, Gianluca Brambilla. Si trova solo oggi il tempo di rammentarli tutti quanti, e questo dice molto di che Giro è stato, i fuggitivi di giornata, turisti fuori stagione che a volte capita che siano fortunati, e trovino in riviera il sole di settembre. Verrebbe da non nominarlo nemmeno, il vincitore, tanto è corale la vicenda di questi eroi picareschi, non fosse che oggi del basco Nieve è il compleanno, e quindi tanti auguri. Batte tutti i big, come la prima volta qui a Cervinia capitò ad Addo Kazianka, polacco di Cremona.
Nel frattempo, tra Susa e l’arrivo, il gigante della montagna pretendeva altri sacrifici. Così, dopo Chaves, Aru, e ieri Yates, a questo giro è toccato a Pinot essere risucchiato dalla fatica e sparire dall’orizzonte della classifica, tra le pacche sulle spalle dei gregari. Lo ritroveremo l’anno prossimo, questo franco atipico che del correre in Italia ha fatto la ragione di una carriera.

Dopo che hanno vinto negando la propria filosofia di corsa, oggi a Froome e alla Sky è concesso quello che sanno fare meglio, sorvegliare. Si scavalcano così Tsecore e San Pantaleòn in ordinata processione, attendendo che l’arrampicata su per Cervinia regali alla corsa gli ultimi sussulti. Lo deve fare, Dumoulin. Non ne ha la forza, né l’energia, forse non ne ha neanche troppa voglia, ma deve farlo. Si attorciglia quindi sulla bici, quasi maledicendola, che da strumento di vittoria si sta trasformando, sui tornanti pur lievi, in causa di sofferenza. Tre, quattro, cinque allunghi (It was everything I had), il senso del dovere dice vai, la gamba dice resta. Non può però far danni, lo spilungone lo sorveglia, e anzi al culmine dello sforzo piazza lui uno scatto, per poi tagliare il traguardo in derapata sorridendo. Un messaggio: i giochi son finiti. Per ora, perché si rivedranno in Francia, tra un mesetto.

Sfiancato l’olandese, va di scena il derby per il terzo posto tra gli eredi di Lucho Herrera, che planò da Cundinamarca (nido del Condor) sulle Ande una quarantina di anni fa per portare in corsa il colore e la fantasia del continente sudamericano. Se lo aggiudica Miguel Angel Lopez, colombiano, mentre Carapaz per ora guarda il podio giù dal basso.

Si veste quindi definitivamente di rosa Froome («la mia battaglia più dura»), dopo il Tour e la Vuelta dello scorso anno. Impresa riuscita solo a Merckx, per quel che valgono i raffronti.