La redazione consiglia:
La casa ingombra di fantasmi, Irina BrookÈ «una versione decostruita e intima» del Gabbiano di Anton Čechov questo onirico Seagull dreams che Irina Brook ha realizzato al Teatro Biondo, sulla scia del bellissimo House of us di qualche tempo fa, intimissimo viaggio all’interno di una casa che coincideva con la vita stessa dell’artefice. Dove l’artista, figlia del grande Peter Brook, accoglieva gli spettatori per condurli al cospetto di ingombranti fantasmi familiari – l’aleggiante presenza della madre soprattutto, l’attrice Natasha Parry. Proprio con la commedia di Čechov sono alle prese gli attori che al nostro ingresso troviamo già sul palco, come in una pausa delle prove. Parlano scherzano fanno esercizi di stretching. C’è in mezzo a loro anche la regista. Quando parte la musica di Hair tutti si mettono a ballare. This is the dawning of the age of Aquarius. Ed è un salto all’indietro nel tempo, il musical di James Rado e Gerome Ragni, ma anche un diverso tempo culturale, una controcultura si diceva allora. Insomma, tra i tanti sogni del titolo c’è anche un sogno fatto in America, impersonato da Geoffrey Carey, l’attore che Irina Brook può convintamente definire la sua musa. E infatti lo spettacolo si apre con le parole del suo guru Ram Dass, ovvero lo psicologo statunitense Richard Alpert, nei passati anni sessanta autore anche di studi sulle sostanze psichedeliche.Il teatro è l’antidoto a internet. È cura del dettaglio e della relazione. Facilita una comunicazione reale. La rete invece isola, disumanizza. (Irina Brook)

INTANTO si è fatto in tempo a prendere confidenza con la scena, piena di cose e dunque corrispettivo perfetto del testo elaborato dalla stessa regista. Un banco da bar da un lato, sul fondo un letto un po’ ospedaliero, un lungo tavolo con tante sedie, un grande schermo televisivo che le numerose cortine che scendono dall’alto possono nascondere allo sguardo… L’elemento figurativo centrale è però il tavolino del trucco da camerino teatrale che sta a margine del proscenio, con lo specchio alluso da un riquadro di lampadine. Attraverso cui, lo specchio cioè, ci proiettiamo al di là verso un lato nascosto del teatro. Un salto doppio o triplo abbastanza spericolato sulla pista metateatrale, dove per esempio Pamela Villoresi, che dello Stabile palermitano è anche la direttrice, porta sulla scena sé stessa che fa la parte dell’attrice intenta a impartire una lezione di recitazione ai compagni che devono affrontare una versione molto contemporanea del Gabbiano. Dove lei stessa interpreta l’Arkadina, grande attrice “tradizionale” in conflitto con il figlio Kostia, alfiere invece di un «nuovo teatro» visto in maniera un po’ derisoria con visori di una realtà aumentata e però il costume della Signora delle camelie di mamma.

LA DECOSTRUZIONE del testo parte e si chiude con la veglia funebre per il ragazzo che si è tolto la vita. E procede avanti e indietro fra sbalzi di tempo e di luogo oltre che di lingua, cioè dentro e fuori il testo di Čechov e il suo making off, dove possono starci le canzoni di Lou Reed e azzardati striptease della protagonista, balli in maschera e collegamenti in video tramite Zoom. Per dire che ciò che conta è il riflesso sulla scena della vita degli artisti, dove ciascuno porta il suo vissuto, un brano di una passata Medea o uno spinello e qualche funghetto. Qui sta l’intimità dello spettacolo. Ed è naturale che a prevalere sia la personalità dei due attori più maturi, pure se ai più giovani toccano ruoli per niente marginali (sono gli allievi della scuola del Biondo, Giuseppe Bongiorno, Emanuele Del Castillo, Monica Granatelli, Giorgia Indelicato e Giuseppe Randazzo). Si finisce di nuovo con la voce di Ram Dass, a chiedere di fare pace con la morte. Se si è trovata la strada al mattino, si può morire volentieri la sera.