Un entusiasmo che cresce, grazie al calcio, un’unione che si consolida, nonostante i mille problemi. L’estate era iniziata sotto una buona stella in Kirghizistan, in una Bishkek – la vecchia Frunze – secca ed assolata, che alla fine dello scorso giugno ha applaudito i propri beniamini della nazionale di calcio, i «leopardi della neve». E ora un intero popolo guarda – con trepidazione – a settembre.

A giovedì 3, per l’esattezza, quando i «leopardi» in Giordania saranno di fronte a una tappa diventata importante verso il mondiale di Russia 2018. Già perché in Asia, a differenza dell’Europa, le qualificazioni alla prossima rassegna iridata sono iniziate lo scorso marzo e si è già alla seconda fase del cammino preliminare.

I Kirghisi, mai come in questo caso, cominciano a crederci. La selezione giallorossa è infatti il riassunto del fermento con cui le nazionali di calcio riconducibili all’ex impero sovietico si stanno impegnando per arrivare proprio là, in quella Mosca ammirata, temuta, ammaliante e terrorizzante allo stesso tempo. In quella vita precedente e, in qualche modo, anche in questa. Pensare di rivendicare le proprie origini nella più grande rassegna sportiva intercontinentale (mediaticamente più potente di una Olimpiade) è già di per sé un’ambizione unica. Farlo in Russia, per uno stato come il Kirghizistan (e altri dalle stesse estrazioni geopolitiche) fa esplodere gli stimoli, aumenta esponenzialmente le emozioni al pensiero.

Quella Russia che guarda sempre con l’occhio penetrante di chi ha mantenuto il controllo della situazione: i rapporti con il Cremlino, per i kirghisi, sono sempre di estrema riverenza. E, d’altro canto, di educato predominio: già nel 2012, ad esempio, le richieste di Vladimir Putin per un totale disimpegno delle basi americane nelle ex repubbliche sovietiche si sono fatte sempre più nette. E remunerative, in caso il desiderio del premier russo fosse assecondato. Il Kirghizistan dal canto suo, si è mobilitato l’anno scorso con un voto in parlamento, che ha portato alla chiusura della base statunitense di Manas, centro di supporto logistico ad ovest di Bishkek, attivo da 12 anni per la guerra nel vicino Afghanistan. Fatto che evidenzia la rinnovata avanzata della Russia negli stati dell’Asia centrale.

Tutto, insomma, volenti o nolenti, porta al pensiero di Mosca. Anche e soprattutto un Mondiale vicino sia nel tempo che nella cultura. E chi ben comincia…

Negli ultimi due impegni, una vittoria, larga e di grande personalità, in trasferta contro il Bangladesh, e una sconfitta di misura, 2-1 contro la quotatissima Australia – fresca vincitrice della Coppa d’Asia -, in un match aperto e combattuto allo Spartak Stadium di Bishkek, di fronte a circa 18 mila spettatori: non sarebbe mai stato così in passato, neanche in quello più recente, sia per quanto riguarda il filo sottile del risultato, sia per il seguito sugli spalti, oggi più che mai soddisfacente. Non male per chi occupava la 177ma posizione del ranking Fifa e che, grazie a questo exploit, ha raggiunto la 156ma. Ora, i prossimi avversari, Giordania e Tajikistan, sembrano una pratica più che mai abbordabile.

18 ultima Tursunali Rustamov
Il fantasista della nazionale kurgisa Tursunali Rustamov

«Noi ci proviamo, la strada è lunghissima ma abbiamo iniziato bene e, per la nostra gente, ce la metteremo davvero tutta». Sono le parole che il fantasista 25enne della nazionale kirghisa – nonché dell’Alga Bishkek – Tursunali Rustamov ha rilasciato al manifesto e che custodiscono il racconto di un inizio incoraggiante per la selezione guidata, ironia dalla sorte, proprio da un giovane commissario tecnico russo, il 36enne Aleksandr Krestinin da Krasnodar, che in Kirghizistan terminò la propria carriera da calciatore.

A lui, il merito di aver dato un tocco di moderna internazionalità alla rappresentativa di un paese che, rispetto ad altri della vecchia federazione sovietica, ha già dimostrato in passato di avere quanto meno l’intenzione di aprire le porte alle novità: è stato uno dei primi paesi ad aderire a Expo 2015, è stato guidato – tra il 2010 e 2011 – da un presidente donna (ad interim), quella Roza Otunbayeva su cui però – come per la maggior parte degli uomini politici classificati come «carismatici» – devono essere bilanciati meriti e demeriti: se è vero che riuscì a spodestare l’ex presidente dalle attitudini tiranniche Kurmanbek Bakiyev nella seconda rivoluzione dei Tulipani è altrettanto pacifico che abbia dimostrato un colpevole lassismo in merito agli abusi dei kirghisi – durante i continui scontri intestini – nei confronti della minoranza uzbeka a Osh, città natale nel sud del paese della Otunbayeva. Lei, che in nome della libertà dell’etnia kirghisa si è sempre posta come paladina della giustizia, dimenticandosi però troppo facilmente delle altre popolazioni sparse per il territorio nazionale…

L’attaccante Anton Zemlianuhin esulta dopo uno dei tre gol segnati al Bangladesh
L’attaccante Anton Zemlianuhin esulta dopo uno dei tre gol segnati al Bangladesh

Il calcio, però, supera tutto e il clima torna quasi festoso. Il successo sul Bangladesh per 3 a 1 a Dacca, ha subito dato una scossa di fermento popolare, tanto da attirare anche l’attuale presidente della repubblica Almazbek Atambayev, successore della Otumbayeva, all’allenamento di rifinitura della selezione kirghisa prima dei match contro i fortissimi Socceroos, ricevendo una maglia da «numero uno» da parte del capitano Azamat Baimatov.

Tornando alle modernità introdotte dal cittì Krestinin, porte e orizzonti aperti alle naturalizzazione e ad alcuni “mezzosangue” come i tedeschi (delle leghe minori) di origine kirghisa Sergeij Evljuskin (centrocampista dell’Hassen Kassel), l’ala destra Viktor Maier dell’Sv Meppen, il collega di reparto Edgar Bernhart scovato in Polonia tra le fila di un Widzew Lodz sull’orlo del fallimento e la giovane punta del Norimberga riserve Vitalij Lux.

Ci sono anche due esperti ghanesi naturalizzati, entrambi 29enni: il regista su cui fa perno la squadra Daniel Tagoe e l’attaccante David Tetteh, da anni colonne portanti della squadra più vincente in Kirghizistan, il Dordoi Bishkek, da cui provengono gran parte degli elementi della selezione.

«Il nostro allenatore è stato bravo e convincente e siamo tutti grati per il suo lavoro – aggiunge Rustamov -. Non è stato facile andare ad individuare in giro per il mondo giocatori che, cresciuti con un’altra cultura e mentalità calcistica, potessero darci una mano. Il nostro impegno per fare grande il Kirghizistan è grande, il resto verrà da sé».

Da Bishkek, Mosca dista 3712 chilometri, un’infinità. Da raggiungere a suon di gol