Florida, eseguita la condanna a morte per un ex “ragazzo della Nickel”
Alle ore 18:15 locali del 29 agosto, nella prigione di Stato di Raiford in Florida, è stata eseguita la sessantottesima esecuzione della pena capitale dal gennaio del 1997 a oggi. Loran Cole ha subito un’iniezione letale dopo aver trascorso gli ultimi trent’anni di vita in carcere condannato per omicidio e stupro.
I suoi avvocati avevano cercato una sospensione dell’esecuzione citando il fatto che Cole in giovane età era stato detenuto alla Arthur G Dozier School for Boys, un riformatorio della Florida (ora chiuso) celebre per le violenze fisiche, mentali e sessuali dei bambini che vi erano stati mandati per decenni, per il quale lo stato ha dovuto scusarsi e approvare una legge che autorizza risarcimenti per 20 milioni di dollari. E Loran Cole era proprio un “ragazzo della Nickel”, alunno suo malgrado di quella scuola-inferno che lo scrittore Colson Withehead descrisse in The Nickel Boys vincendo un Pulitzer, nel 2020.
Non è bastato.
Alcuni media italiani hanno subito riportato la notizia citando il caso come prima esecuzione della pena di morte in Florida, addirittura dal 1996. Ma non è proprio così, l’esecuzione del cinquantasettenne statunitense non è la prima ma la sessantottesima dalla fine del 1996 – l’ultima appena dieci mesi. In uno Paese, quello Usa, in cui a detta di Amnesty International “le autorità di diversi Stati hanno intrapreso negli ultimi anni misure per modificare i protocolli di esecuzione o aggirare le decisioni giudiziarie fondamentali al fine di facilitare le esecuzioni”. La segretezza per vagliare i dettagli delle esecuzioni è sempre più utilizzata e tra il 2022 e il 2023 il lavoro per i boia di Stato è aumentato, passando da 18 esecuzioni a 24. Nel 2023 il governatore della Florida Ron Desantis ha anche firmato un disegno di legge per eliminare l’unanimità in giudizio e consentire la condanna a morte quando almeno otto giurati su dodici votano a favore, rendendolo lo stato con il più basso voto minimo richiesto dalle giurie per imporre condanne a morte.
Il caso di Loran Cole è dunque l’ennesimo della lista, condannato a morte per l’omicidio nel 1994 del diciottenne John Edwards e per lo stupro nei confronti della sorella, Pam Edwards. Nell’appello dell’ultimo minuto alla Corte Suprema i suoi avvocati difensori hanno sostenuto che non avrebbe dovuto essere giustiziato, sottolineando che soffriva del morbo di Parkinson e che gli era stata diagnosticata una malattia mentale con danni cerebrali. A loro avviso i sintomi del Parkinson di Cole avrebbero «reso impossibile» che l’esecuzione fosse condotta in modo umano.
Non è bastato neanche questo.
La Corte Suprema ha respinto il suo ricorso senza fornire spiegazioni, come spesso accade. Il procuratore generale della Florida Ashley Moody ha poi sostenuto in una memoria legale che Cole ha sollevato la questione della malattia solo dopo che era stata programmata l’esecuzione nonostante sapesse «di soffrire di tremori involontari da almeno sette anni».
I genitori della vittima non erano presenti per assistere all’esecuzione, ma hanno disposto una dichiarazione da far leggere dagli ufficiali penitenziari in cui hanno scritto come l’omicidio del figlio e l’attacco alla figlia abbia distrutto le loro vite, ma che era diventata moglie, insegnante e professoressa. «Sebbene invisibile agli altri, nostra figlia porta cicatrici interiori che non andranno mai via. Ha combattuto anni di paura, dolore e tristezza. È la nostra eroina. Siamo privi di sentimenti ed empatia per il signor Cole. Si è messo in questa arena da solo. Non merita pietà».
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