Pd e Lega marciano verso l’ora della verità sulla delega fiscale, rinviata da mesi dato che giace in commissione dal 17 novembre, scambiandosi bordate sempre più fragorose. «Mi fa piacere che Draghi dica, a parole, che le tasse non aumenteranno. Però Lega e Forza Italia non possono votare un documento con scritto che aumentano», attacca Matteo Salvini. Il segretario dem Enrico Letta risponde per le rime e oltre: «Basta con la balla gigantesca per cui da una parte c’è Robin Hood e dall’altra i cattivi messa in campo per evitare che si parli della guerra e di Putin». È l’eterna campagna elettorale ma contribuisce a esacerbare il clima in un frangente che vede invece un rischio reale.

La crisi in questo momento non la cerca nessuno, nonostante i reciproci sospetti che si appuntano su tutti Draghi incluso. «Su giustizia e fisco non possiamo fare marcia indietro ma non vogliamo la crisi», giura il forzista Tajani ed è sincero. I ministri azzurri e quelli leghisti cercano di abbassare i toni come possono ma anche i pur ringhiosi leader, a partire proprio da Salvini, a tutto mirano tranne che alla crisi. Il problema è che venirne fuori è oggettivamente difficile e che su tutto pesa l’incognita Draghi, con il quale non ha ancora parlato nessuno e la cui disposizione d’animo è dunque ignota.

Nella conferenza stampa sul Def il presidente del consiglio era apparso battagliero, pronto a mettere la fiducia. Non può non considerare il rischio, anzi la certezza, che una resa sul fisco significhi poi doversela vedere con una raffica di ricatti da parte di tutti i partiti. L’opposto diametrale del tragitto che lo stesso Draghi ha in mente e a cui mira. Dunque anche l’eventuale mediazione dovrebbe garantire i punti cardine della riforma delineata dal governo.

In teoria la via d’uscita potrebbe passare per lo sfoltimento della delega, in realtà molto ampia, con l’eliminazione di alcune delle parti più indigeste per la destra, in particolare il regime fiscale duale che secondo Lega e Forza Italia porterebbe con certezza matematica all’aumento delle tasse su Bot e affitti. La fiducia verrebbe poi evitata sulla parte della delega sulla quale l’accordo è impossibile, la riforma del catasto. Quella, infatti, per Mario Draghi non è in nessun caso sacrificabile. Il problema è che si tratta proprio del capitolo indigeribile per la Lega e ancor più per Fi, fatti salvi i ministri che però in questo caso hanno poca voce in capitolo perché a considerare impossibile mollare sulla casa è Silvio Berlusconi in persona. La presidente del gruppo al Senato Anna Maria Bernini è tassativa: «Non possiamo cambiare idea sul catasto. La casa è un bene-rifugio e così c’è il rischio di deprezzarlo».

La via individuata dalla destra per sterilizzare la riforma del catasto è la richiesta di rendere vincolante e non consultivo il voto della commissione sui decreti attuativi. Ancor più della richiesta di eliminare quel regime fiscale duale che per la Lega è «lunare», il punto focale dello scontro è questo: proprio perché chiama in causa il vero passaggio sul quale la destra non è disposta a cedere, il catasto. Per Draghi ma anche per l’ala sinistra della maggioranza la proposta è irricevibile dal momento che, come segnala la sottosegretaria al Mef Cecilia Guerra, significherebbe vanificare la delega.

La soluzione del rebus dipenderà tutta dall’incontro fra Draghi e l’asse Lega-Fi in programma la settimana prossima, probabilmente martedì. Che la maggioranza ne esca in qualche modo viva è possibile e nonostante tutto probabile. Non in buona salute però, anzi, nella migliore delle ipotesi in condizioni di fragilità estrema. Una compagnia di estranei nella quale nessuno si fida più di nessuno, tenuta insieme solo dalla guerra.