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«Firme false» alle comunali, condannati 12 grillini

«Firme false» alle comunali, condannati 12 grillini – LaPresse

Palermo la sentenza a sette anni dai fatti La pena più alta a tre ex deputati: 1 anno e 10 mesi. E nell’isola i 5s sono allo sbando

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 11 gennaio 2020

Di quella che appariva come una enclave non è rimasto quasi più nulla: a Palermo il movimento 5stelle s’è dissolto da un pezzo tra veleni, ripicche e malumori. E le condanne inflitte, ieri, dal Tribunale nel processo per le «firme false» chiudono un periodo nerissimo per i militanti della prima ora, molti dei quali intanto sono scomparsi dalla scena e i pochi rimasti sono lasciati ai margini o costretti a ruoli di terz’ordine rispetto alle ambizioni originarie. Dei 14 imputati, 12 sono stati condannati, dal giudice monocratico, a pene comprese tra un anno e un anno e 10 mesi per falso e violazione della legge regionale sulle consultazioni elettorali; due gli assolti.

La pena più alta, un anno e dieci mesi, è stata comminata agli ex parlamentari – espulsi proprio per via dell’inchiesta – Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino e agli attivisti Samanta Busalacchi, che dovette lasciare l’incarico di consulenza che aveva per il gruppo parlamentare all’Assemblea siciliana, e Toni Ferrara. A un anno e sei mesi sono stati condannati l’avvocato Francesco Menallo e il cancelliere Giovanni Scarpello; un anno invece per i militanti Alice Pantaleone, Salvatore Ippolito e Stefano Paradiso e per gli ex deputati regionali Giorgio Ciaccio e Claudia La Rocca. Quest’ultima ha collaborato nella fase delle indagini con gli inquirenti facendo i nomi di quanti parteciparono alla falsificazione delle firme la notte del 3 aprile di sette anni fa, alla vigilia della presentazione delle candidature per le elezioni comunali.

Secondo la procura in quella frenetica e folle notte, nella sede del comitato elettorale del M5s, furono ricopiate migliaia di firme per provare a rimediare a un banale errore relativo al luogo di nascita di un sottoscrittore. Accortisi dello sbaglio, temendo di non riuscire a presentare in tempo la lista e dovendo recuperare le sottoscrizioni una per una, si sarebbe provveduto a ricopiarle. Le firme poi sarebbero state autenticate dal cancelliere Scarpello.

Per i pm furono Riccardo Nuti, che era candidato a sindaco, e un gruppo ristretto di attivisti a lui vicini (Samantha Busalacchi, Claudia Mannino e Giulia Di Vita) a organizzare la maxi-ricopiatura. «Adesso è chiaro che non sono una bugiarda, una pazza o una persona manipolata o che aveva preso parte a un complotto: tutto quello che mi sono sentita dire negli ultimi anni, come se questa storia non avesse leso gravemente anche me», commenta Claudia La Rocca.

«La scelta di collaborare con la magistratura voleva ricostruire la semplice verità dei fatti, portandola alla reale dimensione di quanto accaduto, non abbiamo mai leso la volontà dei sottoscrittori e questo è chiaramente emerso durante il processo – sostiene La Rocca – Abbiamo fatto un errore per ingenuità e mi auguro che chi ha tirato fuori questa storia al momento opportuno per motivi personali e politici, non di certo per senso di giustizia, prima o poi provi vergogna del male causato. Per il resto voglio chiudere questo doloroso capitolo della mia vita». Il reato per tutti gli imputati sarà prescritto a febbraio.

Sulla sentenza di Palermo il silenzio del M5s è totale. Nessuno ha voglia di parlare, i problemi sono altri in questa fase storica per i 5stelle. Il calo di consensi è evidente, le folle nelle piazze non ci sono più, i gazebo evaporati. Persino all’Ars, da dove sette anni fa era partita la scalata verso i Palazzi che contano, il clima tra i parlamentari è gelido. E il delitto perfetto consumato qualche giorno fa all’Ars, con Angela Foti (M5s) eletta vicepresidente con i voti del centrodestra che così è riuscito a impedire l’elezione del candidato ufficiale grillino Francesco Cappello, ha ulteriormente sollecitano i nervi di un gruppo parlamentare evanescente.

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