«Scoprire o riscoprire i grandi nomi del cinema del reale, conoscere i filmmakers del futuro, riflettere sull’attualità, indagare le nuove frontiere dell’audiovisivo». Linee editoriali ben scolpite che fanno di Filmmaker Festival un luogo imprescindibile per avventurarsi negli spazi dell’immagine filmica in costante mutazione, nella ricerca di sguardi liberi e consapevoli capaci di esprimere le complessità dei tempi presenti.

LE NOVE SEZIONI che compongono il festival milanese diretto da Luca Mosso (dal 17 al 27 novembre) disegnano il senso dell’esplorazione compiuta e le contaminazioni create, ovvero un percorso nel quale convivono varietà di generi, formati, durate, visioni che si espandono nella realtà virtuale, nel teatro, nella letteratura (per «una riflessione eccentrica sul rapporto tra cinema e pagina scritta»). Un percorso che torna anche sui suoi passi ritrovando una sala come l’Anteo dopo le edizioni degli anni Ottanta. In tutto, 48 titoli di cui 21 prime mondiali e 15 italiane.

Un fotogramma di “El chinero” di Bani Khoshnoudi

Cerchiamo di evidenziare alcune delle opere che promettono sorprese. Nel concorso internazionale ci sono dieci film realizzati tanto da registi affermati quanto da emergenti e senza vincoli di formato o durata. Così, accanto al nuovo film del vincitore della scorsa edizione Sylvain George Nuit obscure – Au revoir ici, n’importe où, ecco tre lavori che si segnalano per essere stati girati in 16mm (nel centenario del formato): Being in a Place: A Portrait of Margaret Tait di Luke Fowler e El Chinero, un cerro fantasma dell’artista iraniana della diaspora Bani Khoshnoudi che «instaurano una sorta di dialogo a distanza» investigando due territori, le isole Orcadi nel Nord della Scozia e il deserto messicano, per ricostruire l’arte della regista e poeta Margaret Tait e la fuga e morte di migliaia di asiatici dalle persecuzioni razziali di cui non rimangono tracce ufficiali; e l’italiano L’albume d’oro, nuova tappa, in bianconero, della magnifica ricerca compiuta da Samira Guadagnuolo e Tiziano Doria.

E al cinema italiano indipendente si rivolge la sezione Prospettive riservata a registe e registi fino ai 35 anni. Un «laboratorio di idee per intercettare e accompagnare nuovi talenti nel futuro». Mentre in Moderns, Filmmaker colloca film che esprimono una ricerca in divenire; tra essi i Ballo Files, ulteriore capitolo all’interno dell’universo underground di Francesco Ballo. Emerge poi la sezione Strade perdute (curata da Fulvio Baglivi e Cristina Piccino), vale a dire l’idea di fare affiorare dal fuori campo del non montato di tanti film una sequenza, un ciak, che non ha trovato spazio nella versione definitiva.

La redazione consiglia:
Filmmaker, in viaggio con Ruth BeckermannUna richiesta fatta a diciotto filmmakers tra i più originali, imprevedibili, depistanti del cinema contemporaneo, differenti per età, provenienze, stili, ma accomunati da un fare cinema radicalmente teorico e concreto. Fra loro troviamo Tonino De Bernardi, Júlio Bressane, Fabrizio Ferraro, Stefano Savona, enrico ghezzi e Alessandro Gagliardo, Claire Simon (la regista francese terrà una masterclass il 27 novembre). Questo programma di schegge inedite andrà in seguito in onda su Rai Tre a Fuori orario nella notte del 24 novembre dedicata al festival.

DA NON PERDERE, nella sezione Expanded, l’omaggio a Gina Kim, cineasta sudcoreana che avevamo scoperto tra la fine degli anni Novanta e la prima decade del nuovo secolo con i suoi film intimi, diaristici, già di durata espansa, anche quando contratti in quella breve o più tradizionale, e che da qualche anno si dedica a indagare la realtà virtuale. A Milano si vedrà la trilogia sulle «donne di conforto» coreane reclutate per soddisfare sessualmente i militari statunitensi. E nella durata, che precede quella finale, si inscrive il film di chiusura Chutzpah – Qualcosa sul pudore che Monica Stambrini ha filmato in dieci anni e in diversi formati documentando un momento di passaggio nella sua vita.