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Feltri, i 4 imbecilli e la paura del cambiamento

Feltri, i 4 imbecilli e la paura del cambiamento

Rubrica Non ritengo quell'uomo un vecchio rimbambito ma solo la voce, certamente oscena e senile emessa proprio grazie al «Me Ne Frego» di nera memoria, di un sentire che va diffondendosi da tempo

Pubblicato circa 4 ore faEdizione del 10 ottobre 2024

«Devo chiedere scusa di che cosa? Io ho le mie opinioni. Perché mi dovrei dimettere? Sono stato eletto dal popolo, non da quei 4 deficienti. Lo trovo molto divertente, questi imbecilli si divertono a distorcere le mie parole». Il pregevole testo è di Vittorio Feltri, dopo la mancata votazione sulle sue dimissioni da consigliere lombardo in seguito all’altra nota perla «a me i ciclisti piacciono solo quando vengono investiti»; pronunciata forse non sapendo – ma lo sventurato se ne sarebbe fregato – il giorno del compleanno di Michele Scarponi, che a differenza di Feltri non ha più il privilegio di invecchiare. Da piacevoli bersagli a imbecilli, come si vede, pare chiaro che v’è una certa inimicizia nei nostri confronti. Ed è qui che vorrei sottolineare qualcosa che noto da qualche anno. Ma prima vorrei far capire che, anche se l’allentamento delle inibizioni proprio della senilità, in particolare tra i maschi – è una realtà, le frasi feltriane non si possono attribuire solo a questo.

Non ritengo quell’uomo un vecchio rimbambito ma solo la voce, certamente oscena e senile emessa proprio grazie al «Me Ne Frego» di nera memoria, di un sentire che va diffondendosi da tempo. Non siamo certo in pericolo perché l’ennesimo generale in orbace ha indicato alla truppa il bersaglio da colpire ma perché e sempre di più stiamo davvero sul gozzo a un numero crescente di primati sapiens.

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Individuo l’avvio del fenomeno nella storica crisi del Covid; e non per l’iniziativa dei bonus bici e l’approvazione delle corsie in vernice, e non solo separate da elementi fisici, di quel periodo: ma proprio perché dopo il Covid ho notato una specie di impazzimento generalizzato, accoppiato alla peggiore delle reazioni a una crisi: rivolgersi all’egoismo dopo aver finalmente realizzato, anche tra le fasce meno ragionevoli della società, che la vita di ciascuno può finire in qualsiasi istante.

Non al fare squadra, all’unione della società per prevenire o superare momenti critici. E non aspettatevi neanche che attribuisca quest’antipatia per le bici solo al generico fascistoide di passaggio: appartiene anche a parte di coloro che non abbiano fatto quella scelta di movimento personale. A me è capitato di sentirmi dire «ste cazzo de biciclette» a una manifestazione quasi sotto al Viminale, piena di bellaciao, pugni alzati verso le camionette, palestinalibbera e tutto il classico repertorio della sinistra sinistra. A pronunciarla una ragazza molto giovane in gruppo con altri, da me ovviamente redarguita. Non sarà la dea Anagrafe a risolvere il problema dei vecchi primati maschi. Forse qualcosa è andato storto nella comunicazione di un modo diverso di muoversi. Cosa, non saprei dire.

Ci sto pensando da tempo ma non trovo la chiave di lettura, se non questo generale svirgolamento psichico che mi sembra di cogliere nella società italiana. Forse è la paura innescata dai cambiamenti peggiori che possiamo immaginare -siamo pericolosamente vicini all’uso dell’atomica, tanto per non farci mancare niente. Anche su gente a me vicina ho visto un cambiamento neanche troppo sottile venato d’ansia e paura, con vampate di rabbia e rancore generico. Vi faccio un esempio: nei primi anni di questo secolo aveva preso piede la considerazione per la «decrescita felice». Da quanto tempo non ne sentite più parlare? Eppure avevamo trovato un’alternativa all’economia del consumo. E’ quasi scomparsa anche lei, probabilmente vittima della paura di cambiare, o dell’avvilupparsi intorno al proprio ombelico.

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