Nella protezione della natura e del clima, l’Unione europea deve fare ordine in casa propria, una realtà spesso lontana dalle dichiarazioni ufficiali e dalle stesse normative: è una tirata d’orecchi il rapporto di Greenpeace Failing Nature: how life and biodiversity are destroyed in Europe. Diffuso ieri, nella giornata che la Conferenza delle parti sul clima Cop27 ha dedicato alla biodiversità, in vista della Cop15 della Convenzione Onu sulla diversità biologica (Cbd), in dicembre a Montreal.

Il rapporto dell’organizzazione ecologista si sofferma su 13 situazioni europee nelle quali foreste (pozzi naturali di carbonio), laghi, coste, zone umide e le loro specie viventi sono minacciate a seconda dei casi da: zootecnia, agricoltura intensiva, prelievo forestale eccessivo, elevata estrazione di risorse naturali, pesca, edilizia, infrastrutture.

In Austria e Ungheria il lago Neuseidl, protetto da molti accordi internazionali e nazionali per via della presenza di 300 specie di uccelli rari, oltre che rotta per i migratori, è a rischio a causa delle infrastrutture turistiche. Le proteste degli abitanti, l’attenzione dei media e cause legali hanno messo un freno al peggio. A Bruxelles è l’espansione edilizia a minacciare e decurtare boschi urbani e perirurbani, contraddicendo lo stesso Green Deal. In Bulgaria il Mar Nero e i suoi cetacei sono disastrati dalla pesca industriale (di molluschi molto richiesti) con reti indiscriminate; il resto lo fanno la plastica e l’eutrofizzazione.

In Danimarca «la produzione zootecnica intensiva mette in pericolo la vita nell’Oceano», spiega il video Desert Ocean Under Water di Greenpeace danese. Nel Paese più coltivato d’Europa, principalmente per nutrire le proprie stalle, liquami e fertilizzanti finiscono in acqua fino al mare creando aree morte. Il messaggio chiave è: ridimensionare di molto gli allevamenti. Anche la Germania nel Mar del Nord non si comporta bene: una specie nativa di balena è minacciata dalla pesca (by-catch) e il resto lo potrebbe fare lo sfruttamento di un giacimento di gas.

Sempre in Germania, il prelievo di legname mette a rischio le foreste di faggi, e solo il 2% delle sue foreste gode di una protezione totale. «Primavera silenziosa» in Italia, dove l’agricoltura industriale con grande uso di pesticidi e la frammentazione degli habitat fanno molte vittime e fra queste le api, preziosi insetti impollinatori. Olanda: la contaminazione da nitrati, collegata a vari fattori fra i quali allevamenti, aviazione, industrie e traffico, richiede interventi urgenti per salvare almeno i 14 habitat più a rischio.

E in Polonia a rischio sono i Carpazi, le cui importanti foreste, habitat di tante specie, sulla carta sono fra le più protette d’Europa e per metà incluse nella Rete Natura 2000, ma l’azienda statale che preleva il legname intensifica le attività, fra lobby e conflitti di interessi. Essenziale è allargare le aree di protezione rigida. Il taglio eccessivo minaccia anche i Carpazi in Romania; le foreste primarie che ospitano migliaia di specie animali e vegetali si sono dimezzate negli ultimi venti anni; è però il tema ambientale più dibattuto nel Paese grazie ad attivisti e media. E grazie a un intenso impegno civico, forse si salverà in Spagna la più grande laguna europea, Mar Menor, ricchissima di specie di aria, terra e acqua. Quasi ammazzata da massicce costruzioni turistiche, inquinamento, agricoltura e zootecnia, due mesi fa è diventata il primo ecosistema in Europa a cui è stato riconosciuto uno status giuridico.

Bando poi alle ipocrisie. In Svizzera un gigantesco macello per polli è spacciato come innovazione agroalimentare. E in Svezia, le foreste e le loro tante specie sono attaccate dalla pratica massiccia ed esentasse di una «falsa soluzione» alle emissioni da combustibili fossili: i biocombustibili da legname. Ma «la crisi climatica non si può risolvere con la distruzione della natura».

Poi l’Europa fa danni anche a casa d’altri: è responsabile del 16% della deforestazione mondiale legata al commercio internazionale (dato Wwf del 2021).

Greenpeace invita allora i governi europei ad appoggiare, alla Cop15, «un accordo globale per proteggere almeno il 30% del suolo e degli oceani entro il 2030, riconoscendo inoltre i diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali, finanziando adeguatamente le misure di conservazione e tagliano le sovvenzioni alle attività distruttive». Dopotutto, «la natura è il nostro sistema di sostegno vitale».