Ex Ilva, la guerra di Mittal è piena di debiti: 3 miliardi
L’ultima battaglia della guerra di Mittal e di Lucia Morselli per non sborsare un euro e far morire di consunzione Acciaierie d’Italia è fatta di 56 pagine. E contiene una novità che rischia di mandare all’aria gli sforzi del governo – che ieri ha sfornato un nuovo decreto.
Nel «Ricorso per la conferma delle misure protettive e la concessione delle misure cautelari» per l’accesso alla composizione negoziata presentato al Tribunale di Milano infatti spuntano «3,1 miliardi di euro al 30 novembre»: una cifra monstre, molto più alta delle stime precedenti.
A pagina 11 si legge: « I debiti complessivi di ADI al 30 novembre 2023 ammontano ad Euro 3.106 milioni», somma di 733 milioni di finanziamenti, 1 miliardo 318 di «altre passività» e 1 miliardo e 52 milioni di «debiti commerciali» di cui 548 milioni «scaduti».
Il lungo documento mira però a evitare l’«amministrazione straordinaria» richiesta dal socio pubblico Invitalia (al 32% di azioni) e voluta dal governo.
Per Mittal il decreto varato dal governo è «illegittimo» e «incostituzionale» tanto da chiedere al giudice «misure protettive» nei confronti dei creditori per 120 giorni che scadrebbero a fine maggio, non a caso quando con il contratto d’affitto degli impianti e scatterà l’obbligo di acquisto.
Mittal parla addirittura di «legiferazione ad personam» che non può fermare la richiesta di composizione negoziata della crisi avviata due giorni prima della pubblicazione del decreto stesso.
Sarà il giudice Francesco Pipicelli a decidere se il ricorso sia legittimo, ma se il buongiorno si vede dal mattino, Mittal prepara una guerra legale lunga e (per il governo) tortuosa.
Intanto ieri il Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo decreto di cinque articoli dove per tutelare l’indotto tramite Fondo di garanzia Pmi e Fondo per abbattere gli interessi sui mutui per nuova liquidità. Le misure confermano la prededucibilità dei crediti per le imprese, estendendola anche a quelli vantati dai cessionari per assicurare la fornitura di beni e servizi, quindi la continuità produttiva degli impianti.
La norma che dovrebbe estendere la Cassa integrazione straordinaria (Cigs) a tutti i lavoratori dell’indotto è invece criticata da i sindacati.
«Il decreto non aiuta e non è quello che avevamo chiesto: non scongiura i licenziamenti, non introduce l’ammortizzatore sociale unico in grado di garantire la continuità occupazionale e l’integrazione salariale per i lavoratori, ma soprattutto non prevede la continuità produttiva degli stabilimenti ex Ilva e delle aziende dell’indotto», commenta il coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom Cgil, Loris Scarpa.
«Il decreto, lungi dal tutelare l’indotto dell’ex Ilva, non garantisce né l’occupazione, né gli ammortizzatori sociali, né la continuità produttiva ed esclude dalle misure previste per la salvaguardia occupazionale le lavoratrici e i lavoratori occupati negli appalti di servizi», rimarca il segretario confederale della Cgil Pino Gesmundo.
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