Dichiarazioni roboanti ma tanta paura. Il giorno dopo la presa d’atto di essere costretto a nazionalizzare nuovamente l’ex Ilva, il governo Meloni è più preoccupato del rischio di contenzioso con Mittal rispetto a risolvere il dramma di 20 mila famiglie a rischio perdita di lavoro, omettendo completamente di citare la situazione ambientale di Taranto.

La fu «destra sociale» si è talmente assoggettata al neoliberismo che il povero Adolfo Urso era stato commissariato in estate per il solo tentativo di parlare di salita in maggioranza dello stato. Dopo la figuraccia del fin troppo presente Raffaele Fitto – la firma di un “memorandum” segreto per garantire a Mittal di continuare a comandare – ecco che Urso è tornato in sella nella gestione della vertenza. Ma ha dovuto subito precisare che la nazionalizzazione durerà «il meno possibile» e che «presto a comandare tornerà un privato».

Trovarlo non sarà facile e di sicuro troverà una situazione compromessa da tutti i punti di vista grazie ai due anni di gestione della «tagliatrice di teste» Lucia Morselli che ha preso alla lettera le indicazioni dei franco-indiani: non spendere più un euro.

Ma entro mercoledì Mittal conta di portarne a casa molti di euro. C’è chi stima in 500 milioni la richiesta di «buona uscita» per il «divorzio consensuale» che si augura il governo.

UNA CIFRA MONSTRE che chiuderebbe la campagna italiana di Mittal con un successo finanziario senza precedenti. A cui va aggiunto il colpo produttivo di sottrarre per dieci anni la più grande acciaieria europea alla concorrenza globale.
I team legali di Arcelor Mittal e Invitalia sono al lavoro per una uscita «morbida» del socio privato da Acciaierie d’Italia. Attualmente il colosso privato dell’acciaio detiene il 62% della proprietà, Invitalia il 38%. Si lavora per definire un accordo per evitare un lungo contenzioso legale. La decisione sarà presa entro mercoledì e comunicata giovedì ai sindacati.

SE DOVESSE FALLIRE L’ACCORDO scatterebbe la prova di forza del governo con l’«amministrazione straordinaria». Questo significherebbe la nomina di un commissario e il probabile avvio di una lunga battaglia legale con Mittal, che verrebbe estromessa unilateralmente dal governo.

Il decreto ex Ilva convertito a marzo consente al governo di attivare la procedura se «detentore di almeno il 30% delle quote, nel caso di imprese che gestiscono uno o più stabilimenti di interesse strategico non quotate».
Intanto, nell’immediato, servono risorse: dai 320 milioni per pagare bollette e fornitori al miliardo per acquistare gli impianti Ilva in amministrazione straordinaria.

SOTTO L’ASPETTO OCCUPAZIONALE invece la ministra Marina Calderone conferma l’apertura di un tavolo per affrontare tutti i temi legati al lavoro, cassa integrazione compresa, oltre che alla sicurezza. «Questo nuovo scenario – spiega Calderone – ci richiede riflessioni ulteriori». L’invito è rivolto non soltanto a sindacati e associazioni datoriali, ma anche a chi rappresenta il mondo dell’indotto. Un universo composto da autotrasportatori, aziende di manutenzioni, pulizie e servizi che temono seriamente di vedere andare in fumo i propri crediti. Si stimano circa 200 milioni di crediti non pagati da Lucia Morselli con piccole imprese che hanno anche fino a 3 milioni di crediti.

Giovedì invece è prevista una nuova convocazione dei sindacati a Palazzo Chigi. «C’è bisogno che lo stato entri e assuma quella attività come strategica per il nostro paese – dice il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini – . Un paese industriale manifatturiero, senza una seria e avanzata industria siderurgica, non ha futuro».

INTANTO TARANTO RIBOLLE e proseguirà a oltranza l’assemblea permanente, davanti alla portineria C dello stabilimento, degli autotrasportatori che lamentano i ritardi nei pagamenti delle fatture. Se entro il 19 non riceveranno risposte alzeranno il livello della mobilitazione.