Evgenij Kissin, immane interprete di un’ansia montante nel discorso sonoro
Musica Santa Cecilia, Rachmaninov, Concerto per pianoforte n. 3. Costante nitido cantante, il tocco del pianista si screzia in una dinamica amplissima. E fedele
Musica Santa Cecilia, Rachmaninov, Concerto per pianoforte n. 3. Costante nitido cantante, il tocco del pianista si screzia in una dinamica amplissima. E fedele
La prima cosa sorprendente è quanto Evgenij Kissin (propriamente il cognome andrebbe traslitterato Kisin) sia tutto sommato poco noto ai musicomani romani. Proprio così: di uno tra i maggiori pianisti viventi, giunto alla bella età di 52 anni, non pochi abbonati o frequentatori assidui delle stagioni sinfoniche organizzate dall’Accademia di Santa Cecilia confessavano di non ricordare il nome ovvero sue esibizioni in loco.
EPPURE Kissin, specie con concerti solistici, è ospite regolare dell’istituzione capitolina. Fatto sta che il suo ritorno per tre esibizioni con l’orchestra, diretta da Gianandrea Noseda, è stato accolto da ovazioni prolungate, gente in piedi e tre bis concessi a furor di popolo (tre diversi ogni sera: mirabile la Mazurka op. 25, n. 3 di Skrjabin). E se anche la sala esaurita può essere in parte attribuita al programma, in cui figurava il Terzo Concerto per pianoforte e orchestra di Sergej Rachmaninov, il celeberrimo Rach 3 del film Shine, è lampante che anche i suddetti, sventurati ignari sono rimasti abbacinati sulla via di… Evgenij Igorevich, musicista di proporzioni immani, ninivitiche.
Premessa indispensabile: Rachmaninov (e non Rachmaninoff come Santa Cecilia e la Filarmonica romana insistono a scrivere: se anche lui si firmava così in caratteri latini, non è questa una buona ragione per non rispettare la traslitterazione scientifica del cirillico; altrimenti si opti per una traslitterazione fonetica) è un compositore grasso: denso, opulento, può cadere facilmente nell’enfatico, ma enfatico non è (almeno non soltanto).
KISSIN vuole e sa sgrassarlo con consapevolezza e padronanza. Il più percepibile dei meccanismi attivati per conseguire lo scopo è il rallentamento dei tempi in tutti e tre i movimenti, primo e secondo in specie. Non è che Kissin cerchi di rendersi la vita più facile in uno dei concerti solistici più pestiferi mai composti (nel primo movimento esegue persino la cadenza alternativa, tecnicamente ed espressivamente più complessa della consueta), bensì di spremere dalla partitura ogni minima stilla di musica – da intendersi nel senso di canto, melodia –, la quale si affianca e infine prevale sulla dimensione virtuosistica (sempre preminente nelle esecuzioni del Terzo Concerto).
Nessuna ricerca di alchimie timbriche, anzi un tocco costante nitido e sonoro, screziato però in una dinamica amplissima (e fedele alle indicazioni d’autore) e articolato in una dizione pianistica di una trasparenza tale da porre in luce tutte le voci interne e un’armonia tutt’altro che codina per l’epoca (1909). Con tutto ciò – ecco la seconda cosa sorprendente, nonché la prova del valore di Kissin musicista, oltre che pianista –, l’esito non è un allentamento della tensione espressiva e drammatica; al contrario, un’inquietudine montante fino all’angoscia percorre e pervade il discorso sonoro, similmente a quanto accade nella registrazione dell’autore (1939), diversa quanto si può essere (una disperata corsa a perdifiato).
L’orchestra ha suonato discretamente sia Rachmaninov (col direttore che si adoprava per assecondare Kissin) sia la Sinfonia n. 1 di Ciajkovskij, un’acme di ritrosia elegiaca e eleganza, da Noseda al contrario sentita come una rassegna di esuberanza.
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