Non veniamo solo dopo Marx ma anche dopo il marxismo. Questo non significa rinunciare a Marx, né al marxismo. Al contrario, significa fare un’esperienza diversa di entrambi. Facciamo un esperimento. Leggiamo la ristampa anastatica di Cinque studi di materialismo storico (PGreco, pp. 295, euro 22), un volume del filosofo francese Étienne Balibar pubblicato nel 1976 dalla casa editrice barese De Donato, a due anni dalla sua edizione in Francia. La traduzione di Claudia Mancina è oggi accompagnata da una ricchissima introduzione scritta da Vittorio Morfino dove, tra l’altro, si presenta la storia del marxismo ispirato da Louis Althusser, di cui Balibar è stato anche uno dei maggiori allievi e interpreti (il libro sarà presentato lunedì 28 alla Fondazione Basso di Roma dal suo autore, con Vittorio Morfino, Stefano Petrucciani, Giacomo Marramao. coordina Chiara Giorgi; streaming sul canale Youtube della Fondazione).

Etienne Balibar
Etienne Balibar

LA STRAORDINARIA problematicità del quadro interpretativo che emerge da questo volume andrebbe riletta in maniera trasversale, a partire da ciò che questo maestro francese di più generazioni di marxisti e spinozisti ha scritto «dopo» sullo stesso argomento. Il suo stile è ispirato a uno stile in continua evoluzione, che agisce attraverso una dinamica problematizzazione delle proprie posizioni. Così facendo Balibar rinnova l’esigenza di dare voce al «movimento dell’insurrezione liberatrice ed egualitaria», come si è espresso ne La filosofia di Marx (1991, pubblicato da manifestolibri). «Da Marx – ha scritto Balibar nel 1993 in un testo per la sua abilitazione a professore – continuo a prendere una nuova pratica della politica che intendo come una pratica di massa. Credo sia indispensabile includere una ’dimensione insurrezionale’ in ogni riflessione sulla cittadinanza democratica, l’eccesso dei movimenti di liberazione collettiva rispetto al funzionamento delle istituzioni». Queste affermazioni guidano le opere più recenti pubblicate in Francia, non ancora tradotte in italiano. I saggi contenuti nei due volumi del 2020 Histoire interminable e Passions du concept (La Découverte). Basta leggere ciò che Balibar scrive sul Sessantotto per capire come il suo approccio etico-politico non abbia perso un grammo della sua forza.

QUELLA DI BALIBAR, va ricordato, non è solo una storia filosofica. È una vita politica. Ne Le frontiere della democrazia (manifestolibri, 1993) si può leggere ad esempio l’articolo Da Charonne a Vitry del 1981 in cui l’autore denunciò il razzismo nel partito comunista francese. Una presa di posizione che gli costò l’espulsione dal partito al quale era iscritto dai primi anni 60. Per chi segue la politica, e non solo quella francese, sa che oggi il problema è tutt’altro che risolto.
Torniamo allora a Cinque studi di materialismo storico. Nel libro spiccano almeno due concetti per una teoria materialista del marxismo: «congiuntura» e «combinazione», parti dell’eredità più interessante dell’althusserismo. La critica dell’economia politica del capitalismo si fa sempre nella congiuntura storica, cioè in un momento della lotta di classe intesa come ciò che determina l’esistenza delle classi, e non viceversa. Dunque, c’è il primato della lotta di classe sull’esistenza di quest’ultime. Ciò rivela come il concetto di classe in Marx non vada inteso nel senso di «gruppo sociale» o «statistico», bensì come formazione politica all’interno di una configurazione storica contraddittoria e aperta a nuove determinazioni.

Emerge un’idea di politica come «combinazione» che diverge da quella di «modo di produzione capitalistico» in cui è incastrato. Questa politica non è il risultato di una combinatoria di elementi invarianti: da un lato ci sono i dominanti, dall’altro i dominati, e tutto prosegue uguale mentre la storia finisce in una gabbia di acciaio. Al contrario è una dialettica dell’infinito della storia che va continuamente riaperta.

IL PERNO di questa operazione resta Marx. Per Balibar l’autore de Il Capitale non è il pensatore di una «rivolta» generica, né il contemplatore di «utopie» improbabili. È invece il filosofo pratico, o della pratica rivoluzionaria che rivoluziona se stessa, dove la conoscenza delle condizioni materiali è coniugata con la potenza di agire e di pensare a livello transindividuale, cioè sia individuale che collettivo. Questa filosofia del presente permette di concepire il tempo storico in maniera non solo retrospettiva, ma soprattutto prospettica, o, se si vuole, congetturale.
Marx sollecita a farlo non in maniera astratta, ma a partire dall’individuazione della tendenza che emerge dalle contraddizioni prodotte dall’attualità tra le quali egli invita a collocarsi organizzando diversamente le forze che compongono la congiuntura in una combinazione aperta di rapporti in trasformazione. Marx, dunque, o dell’azione al presente.