Nelle cucine della festa dell’Unità di Ravenna, tra piadine che cuociono e immense teglie di polenta, volontari con le magliette rosse che stanno tra questi fornelli anche da cinquant’anni, le discussioni tra i dirigenti sulla presunta deriva massimalista della segretaria Schlein vengono guardate con la giusta distanza. «Ma quale deriva, c’era bisogno di rottura, di discontinuità, anche se parliamo di Jobs Act», dice Susanna, una veterana della friggitoria. «Certo, tutto questo non basta: ci sono problemi urgentissimi di oggi a cui vanno date risposte. Ho votato per lei alle primarie e sono convinta di aver fatto la scelta giusta».

FIORENZA, CHE LAVORA a pochi metri da lei, è più perplessa: «Devo ancora inquadrarla la segretaria, non la conosco abbastanza…». «Io ho votato Bonaccini, mi sembrava più affidabile e di governo, ma ammetto che il Pd negli ultimi anni si era troppo appiattito, con lei possiamo fare una buona opposizione, spero però che non ci resteremo per troppi anni», sorride.

Da queste parti la cultura di governo è merce preziosa, quasi un tabù. Così come ogni ipotesi di scissione o abbandono viene vista come un peccato mortale: «Hai visto Bersani? E’ andato e poi è anche tornato, io ero stata tentata di seguirlo ma l’unità del partito viene prima di tutto», sospira Fiorenza, alle prese con la polenta da rovesciare in un pentolone.

Claver Triossi, 75 anni, è uno dei più anziani: «Faccio una media di 80 giorni l’anno come volontario nelle feste dell’Unità di tutta la Romagna», premette, «La Schlein non l’ho votata ma me la tengo, punto», confessa. «Se c’è la Meloni al governo vuol dire che qualcosa abbiamo sbagliato. O no?». « E se ci dividiamo ancora stavolta è finita per tutti», l’ammonimento che lancia mentre scruta le piadine sulla grande piastra. Lui avrebbe voluto che il leader fosse eletto dagli iscritti e basta. «Se qualcuno ai piani alti pensa di andarsene non sarà certo Bonaccini, io lo conosco», assicura Claver. «E così farò anche io».

All’osteria del Borgo alle 19 è già quasi tutto pronto per la cena. Rita e Velide scuotono la testa: «Le correnti hanno già cominciato a lavorare per cercare di titare giù la Elly. Questi che se ne vanno lo fanno solo per darle contro, per dare l’idea che lei sia incapace. E invece ha grinta, ha voglia di fare lasciamola lavorare». Velide alza un poco la voce: «Questo paese sarà sempre maschilista…». Rita a domanda risponde: «Pd troppo di sinistra? Ma le sembra che qui ci siano degli estremisti? Ma guardi bene le nostre facce…».

LA CUCINA È PIENA, saranno una quindicina di volontari, età media sopra i 60. «Io l’ho votata e non sono deluso», dice Paolo. «Sta facendo esattamente quello che aveva detto di voler fare. Spero che vada avanti». Corrado invece vede un fondamento nelle preoccupazioni dei riformisti: «Secondo me è un errore abbracciare troppo il M5S, il Pd è nato anche per prendere i voti del centro, non solo quelli di sinistra. E invece stiamo lasciando quello spazio a Renzi e Calenda. Sì, temo nuovi addii, e non vedo questo gran spazio a sinistra: c’è Rifondazione, ci ha provato anche Bersani, ma non mi pare che abbiano trovati i voti».

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Nel pomeriggio la grande sala dibattiti dedicata a Salvador Allende è piena di giovanissimi: è l’attivo dei Giovani democratici. «Spero che il partito vada sempre più a sinistra, dobbiamo finalmente decidere chi siamo», taglia corto Davide, calabrese trapiantato a Roma, 20 anni. «Se qualcuno non è d’accordo può andarsene». Tra i ragazzi non ci sono timori di derive estremiste. Anzi. «La crisi climatica è il più grande acceleratore di diseguaglianze dall’invenzione del capitalismo», tuona dal palco Marco, responsabile ambiente dei giovani emiliani, anche lui sulla ventina. «La transizione è una politica rivoluzionaria, basta col pragmatismo che ha favorisce l’industria fossile».

Andrea e Laura sono in coda per una birra. «Su ambiente, femminismo e lavoro c’è una radicalità che era necessaria. Non temiamo addii, se qualcuno che non vuole cambiare nulla rispetto al Pd del passato se ne va sono affari suoi». Loro semmai incalzano Schlein sulla guerra: «Bisogna spingere di più per una soluzione diplomatica, con le armi questa vicenda non finisce. Lavorare per una tregua anche se non è quello che vuole Zelensky». Questi ragazzi rompono un tabù, quello della pace solo alle «condizioni ucraine». «Bisogna insistere con la diplomazia, e questo non significa dimenticare che un popolo è stato invaso».

«Ma quale estremismo», s’infervora Massimiliano di Jesi. «Siamo un partito con tante anime, è così anche tra noi della giovanile e resteremo così. Io ho votato Bonaccini, ma Schlein sul lavoro mi convince, sta lavorando bene, era ora di dire che il Jobs Act è stato un errore. Credo che debba avere più coraggio anche su temi scomodi come la gpa: è chiaro che serve una regolamentazione, sui diritti possiamo fare ancora molta strada…».

Domenico, sulla quarantina, sta apparecchiando i tavoli: per lui è la prima volta da volontario. «Il Pd ora è più frizzante, vedo che gli altri ci rincorrono su temi come il lavoro e l’ambiente. Con questa leader possiamo attirare l’attenzione di una generazione disincantata dalla politica in doppiopetto. E poi, come diceva Nanni Moretti, è arrivato il momento di dire qualcosa di sinistra».

Ylenia è toscana ma vive a Bologna: «Elly non è l’ennesimo maschio alfa che scalpita per andare a comandare e non ha aspettato che qualche uomo le dicesse che era il suo turno. Non ha la bacchetta magica, ma l’ho vista in piazza Maggiore con i ragazzi: suscita interesse e fiducia, ha acceso una scintilla. E non mi sconvolge se vira a sinistra: in ogni fase storica c’è bisogno di un tasso diverso di radicalità».