Chissà dove saranno oggi i bimbi che più di vent’anni fa Nicolas Philibert aveva filmato nella scuola del villaggio francese di Saint-Etienne -sur-Usson (Puy-de-Dôme) insieme al loro maestro, Geroges Lopez, che oltre a leggere scrivere cercava di insegnargli ciò che è importante e fonda una reciprocità nella convivenza. Quella classe unica raccoglieva un gruppo di bambine e di bambini di età fra i quattro e gli undici anni, in una zona montuosa con inverni molto freddi, svuotata dei suoi abitanti anche a causa delle molte difficoltà. Etre et avoir, Essere e avere (2002) ottenne un grande successo in Francia, dove fu presentato al Festival di Cannes vincendo poi il premio Louis Delluc, e rivelò internazionalmente un regista, Nicolas Philibert, che aveva già relizzato alcuni film con cui reinventava la pratica documentaria come Le pays des sourds (1992) e Le moindre des choses (1996).

ESSERE e avere ritorna in sala (distribuisce I Wonder), nel frattempo Philibert ha vinto l’Orso d’oro alla scorsda Berlinale col suo nuovo lavoro, Sur l’Adamant, girato in una realtà psichiatrica che su un battello a Parigi prova a inventare una diversa relazione di cura tra pazienti e curanti, e che uscirà nei prossimi mesi. Racconta Philibert: «Essere e avere ha preso forma al montaggio. Avevo sessanta ore di giornalieri, non era stato sempre facile, ci eravamo imposti una sorta di ’neutralità’ nella classe ma in ogni film è necessario trovare una distanza. Il primo giorno avevamo speigato a tutti cosa volevamo fare, i bambini hanno preso in mano le attrezzature, poi il maestro ha preso in mano la situazione e tutti ci siamo messi a lavorare. Credo che Essere e avere sia molto aperto, lo spettatore può interpretarlo come preferisce specie se si lascia guidare dai propri ricordi di infanzia. Prima di fare il film avevo dimenticato quanto fosse difficile imparare a crescere, questa immersione nel mondo della scuola me lo ha riportato alla mente». Cosa ci racconta allora Essere e avere? Dei bambini, simpatici e pure insopportabili, del maestro che è al centro di ogni movimento e della sua costante invenzione quotidiana per insegnare qualcosa che dialoghi con ogni età. E di una sfida, quella del regista, che si mette in gioco nella difficoltà altissima di filmare una classe cercando una forma per farlo, e quella «distanza giusta» che è al tempo stesso la misura, l’altezza, il ritmo, le angolazioni, il punto di vista «giusti», che escludono il paternalismo adulto e non appiattiscono differenze e attriti.

La redazione consiglia:
Nicolas Philibert, l’arte di trovare la giusta distanzaFilmare i bambini, dunque e filmare la scuola, una vita di classe nelle sue interazioni visibili e in quelle più celate, questa è quanto riesce a Philibert. Tra manine piene di pittura, mattine fredde sul bus della scuola, lezioni sulla democrazia e sulla storia universale, i genitori, le tabelline e il dettato, la bellezza dei luoghi, le peripezie quotidiane, il regista coglie un senso e un sentimento che riguardano la realtà e il mondo. E interroga l’apprendimento della solidarietà, i rapporti tra generazioni, il mistero della trasmissione dei saperi, le paure davanti alla vita e alla morte, la relazione con la natura. Jojo ancora piccolino, Julien che è molto litigioso, Nathalie che è già nell’adolescenza, a ciascuno il maestro prova a dare qualcosa di diverso e insieme di comune che la macchina da presa di Philibert illumina e restituisce in una dimensione filmica, che è sempre in relazione con ciò che accade.

DOPO l’uscita del film ci sono state polemiche col villaggio e i genitori – che mediatizzati dal successo volevano soldi – e soprattutto la causa, chiusa per non sussistenza del fatto, che il maestro Lopez fece alla produzione e al regista reclamando di essere pagato perché era stata usata la sua storia. Ciò che resta oltre a questo è un film che riesce ancora a essere una scoperta coi mezzi del cinema – Philibert aveva girato con una troupe di quattro persone tra il 2000 e il 2001 – nel suo modo di esplorare quel processo che crea una comunità – al centro del lavoro del regista – qui nella formazione di un pensiero dall’infanzia e nell’impegno del maestro didattico e politico, che riguarda la formazione di futuri cittadini in una democrazia.