Internazionale

Erdogan offre Idlib ma Putin non cede ancora su Rojava

Erdogan offre Idlib ma Putin non cede ancora su RojavaPutin insieme ad Erdogan – LaPresse

Siria Al vertice di Mosca il presidente russo punta a riottenere il totale controllo damasceno del paese. Sulla zona cuscinetto a nord, il presidente turco lo tira per la giacchetta, ma per ora nessun via libera ufficiale. Intanto Damasco minaccia: "Se l'Onu non ferma Israele, bombardiamo Tel Aviv" 

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 24 gennaio 2019

Ieri, mentre il presidente turco Erdogan si presentava al cospetto del russo Putin, in Siria le Forze democratiche siriane (la federazione multietnica e multiconfessionale, guidata dalle Ypg/Ypj curde) liberavano l’ultimo villaggio occupato dall’Isis. Baghouz non è più in mano al «califfato», ridotte a cellule minime ma tuttora attive. E mortali: lo ha ricordato una settimana fa l’attentato kamikaze a Manbij. Gli islamisti sono stati spinti ancora più a oriente, al confine (ancora troppo poroso) con l’Iraq.

Di Ypg si è parlato nel vertice moscovita tra Putin ed Erdogan, che dal mezzo alleato cerca la sponda che gli Stati uniti non danno ancora per certa. Se Trump ha promesso di concedere la zona cuscinetto lungo il confine turco-siriano (lunga oltre 400 km, larga 30), Ankara ha bisogno del via libera dell’attore che più di altri sta decidendo le sorti siriane.

Sia Mosca che Damasco stanno dialogando con la Federazione della Siria del nord, il confederalismo democratico promosso dai curdi. Con gli Usa che non sembrano ritirarsi nonostante gli annunci, Erdogan è pronto a fare concessioni ai russi sulla provincia di Idlib, diventata un bubbone jihadista governato da gruppi per lo più legati ad Ankara. Chiudere la partita a Idlib in cambio della zona cuscinetto a Rojava: i due hanno discusso a Mosca di «misure» per stabilizzare la situazione nella zona.

Nessun dettaglio, ma la rimozione degli islamisti pare ovvia. A Mosca interessa portare a casa l’obiettivo iniziale: far riprendere al governo Assad il controllo dell’intero paese, così da avere il proprio sbocco su Mediterraneo e mondo arabo. Compresa Rojava: ieri Putin ha ricordato al «sultano» del dialogo in corso tra Damasco e curdi. Ma alla stampa Erdogan lo dà per certo: «Putin non ha problemi con la safe zone».

In tale contesto, il solito convitato per nulla di pietra resta Israele, autore lunedì di una nuova serie di raid su Damasco. Stavolta rivendicati. Ieri, le reazioni. La Russia, ha detto il ministero degli Esteri, non tollererà più tali azioni militari: «La pratica dei raid spontanei su un territorio sovrano deve cessareun ». Una presa di posizione che segue ad anni di accordi sotto banco tra russi e israeliani, a cui è stato dato enorme spazio di manovra nei cieli siriani.

Ma a rispondere con veemenza al più brutale attacco israeliano degli ultimi anni (21 morti, tra cui 12 iraniani) è il governo di Damasco. Per farlo sceglie il palcoscenico dell’Onu: ieri l’ambasciatore siriano alle Nazioni unite Bashar Jaafari ha dato voce alla minaccia. «Se il Consiglio non adotterà misure per fermare la ripetuta aggressione israeliana in Siria, Damasco eserciterà il suo legittimo diritto all’autodifesa e risponderà all’aggressione all’aeroporto di Damasco nello stesso modo, attaccando l’aeroporto di Tel Aviv».

I missili siriani possono arrivare sulla capitale israeliana. Scatenerebbero una guerra ingestibile (con il Golfo al fianco di Usa e Israele) che non conviene a nessuno. A tutti, invece, serve mostrare i muscoli, in particolare a un Netanyahu in crisi nera.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento