«Sulle variegate acque del golfo, una barca scivola lenta verso il vicino cimitero, trasportando una piccola bara azzurra orlata di pizzo. Una cupa disperazione grava sui genitori del povero bambino che non è più. La barca parte come cullata dal lamento di una ballata del Kanteletar; e per aggiungere ancora qualcosa alla commovente emozione di questo convoglio, la natura settentrionale getta su tutti i volti e apparenze il suo lucore freddo e metallico. (…) Il giovane artista ha saputo conferire a questo dipinto un carattere intimo che non esclude la grandezza; vi diffonde le molteplici qualità che contraddistinguono il suo talento: pittura chiara e luminosa, accuratezza e precisione del disegno, assoluto accordo di composizione e tassonomia». Così scrive nel 1881 su Le Convoi d’un enfant del finlandese Albert Edelfelt il critico Pasteur.
Jean-Baptiste Pasteur, lo ricordiamo, è un nome di peso nei circoli culturali dell’epoca. Il critico è figlio dello scienziato Louis Pasteur. E il ritratto di questi presentato dal finlandese al Salon del 1886 sarà un vero colpo di scena. Lo scienziato è all’apice della fama per la scoperta nell’anno precedente del vaccino contro la rabbia. Edelfelt lo coglie nel suo laboratorio in un atteggiamento di pensosa concentrazione mentre fissa in un flacone un pezzo di midollo spinale di cane. Con questa composizione, oltre a una grande penetrazione psicologica dell’uomo immerso nella sua ricerca, Edelfelt riesce in una vera e propria allegoria della scienza in cammino. In un certo senso Louis Pasteur diviene una figura tutelare per la carriera dell’artista.
Il trionfo al Salon e la celebrità del soggetto dipinto gli valgono la Legione d’onore e catapultano Edelfelt al rango di artista internazionale. E in definitiva non solo il talento ma anche le doti umane che lo scienziato gli riconosce fanno del finlandese il ritrattista ufficiale di famiglia. A testimonianza di questo profondo legame, Edelfelt realizza il ritratto per Madame Pasteur in lutto, che ricompone insieme, in un’intima penombra di toccante malinconia, la trattenuta disperazione dell’anziana e la solenne effige del marito scolpita in un bronzetto. L’opera fu poi presentata all’Esposizione Universale del 1900.
Edelfelt, nato nel 1854 a Kiala Manor a Porvoo sulla costa meridionale della Finlandia, è figlio di Carl Albert Edelfelt, architetto di origine svedese, e di Alexandra Brandt, proveniente da una famiglia di mercanti. Nel 1866 si trasferisce a Helsinki, dove riceve la sua prima formazione artistica. Alla morte del padre, l’adolescente si ritrova a vivere in un universo essenzialmente femminile, tra sua madre, le sue sorelle e l’anziana domestica Tajta, ritratta spesso come figura di popolana. Da Helsinki, il maestro Adolf von Becker, fermamente antigermanico, lo esorta a continuare il suo percorso a Parigi, ed Edelfelt, dopo una breve parentesi di studi di storia dell’arte ad Anversa (1873-’74), segue il suo consiglio. Il giovane artista sceglie i corsi accademici di Jean-Léon Gérôme di soggetto storico a l’École des beaux-arts, anche se presto si converte alla pittura en plein air, sintetizzando virtuosamente naturalismo e impressionismo. Ama essere associato agli amici artisti Jules Bastien-Lepage, Pascal Dagnan-Bouveret e John Singer Sargent, e contribuisce fortemente alla divulgazione degli insegnamenti della scuola francese tra le giovani generazioni di artisti finlandesi come Akseli Gallen-Kallela, Helene Schjerfbeck et Magnus Enckell. Ma pur nella sua salottiera francofonia, Edelfelt mantiene per tutta la vita un profondo legame con la Finlandia, in particolare con Haikko, un piccolo villaggio dove la famiglia acquista una villa nel 1880 e dove fa costruire uno studio nel 1883. Qui trova calmo rifugio per raccogliersi intorno ai suoi soggetti umani e naturali nei tempi estivi.
Questo artista, in cui si condensano le due figure del cosmopolita e del patriota, ce lo raccontano oggi, fino al 10 luglio, le circa cento opere esposte per la prima retrospettiva parigina al Petit Palais: Albert Edelfelt Lumières de Finlande (curata da Anne-Charlotte Cathelineau, Anne-Maria Pennonen e Hanne Selkokari; catalogo Éditions Paris Museées, pp. 224, e 35,00). La sua duttilità si mostra nelle grandi doti ritrattistiche e nelle sue composizioni di paesaggio. Metà della produzione pittorica di Edelfelt è costituita infatti da ritratti dell’alta società parigina. Colta nella sfera pubblica o privata, si sforza di descriverne con precisione costumi e accessori nell’atto di scrivere una lettera, di leggere o di suonare il piano.
Nonostante la sua attenzione per la vita moderna, Edelfelt produce però solo un grande dipinto di soggetto parigino nella sua carriera: Au jardin du Luxembourg (1887). L’artista sa che sono i paesaggi del nord e la vita dei suoi compatrioti ad affascinare il pubblico internazionale. Service divin au bord de la mer (1881) – la prima opera finlandese acquistata dallo Stato francese –, L’Heure de la rentrée des ouvriers (1885) e Devant l’église (1887) sono grandi dipinti emblematici di Edelfelt che ritraggono il proprio popolo di contadini e pescatori nella sua amata porzione di Finlandia. L’artista mostra grande partecipazione e tenerezza nella rappresentazione dei suoi concittadini, siano essi i bambini che giocano con barche di legno come in Les Constructeurs de navires (1886), o impegnati in lavori manuali come in Apprentis tailleurs dans un asile d’enfants (1886); o i pescatori dallo sguardo fiero come in Pêcheurs finlandais (1898). I paesaggi, poi, risentono del fascino delle stampe giapponesi e delle variegate atmosfere luminose del nord, come nel mistico Coucher de soleil sur les collines de Kaukola (1890), o nel rosseggiante Vue sur Haikko (1899).
Ma tutto ciò sottende sempre l’iniziale lezione storica di Gérôme, che Edelfelt assimila in chiave umana. Nella prima tela esposta a un Salon, nel 1877, la scelta del soggetto medioevale di Bianca di Namur, regina di Svezia dal 1335 al 1364, ricostruito con una certa attenzione filologica di arredo e costumi, rappresenta la giovane donna non nel suo ruolo di sovrana ma di madre che tiene in ginocchio il suo secondogenito Haakon, futuro re di Norvegia. Nonostante il tema storico, il pittore si concentra su una scena aneddotica, toccante e sentimentale. Come aneddotica, ma in questo caso intrisa di gusto macabro, è la scena sempre di soggetto nordico rappresentata per il Salon dell’anno successivo: Le Duc Charles insulte le cadavre de son ennemi Klaus Fleming, 1597. Qui si comprende come il giovane artista volesse con queste opere suscitare reazioni nel pubblico parigino. Ma col tempo la storia agisce nella sua coscienza in maniera più sottile e mediata, sotto forma allegorica e psicologica. Si pensi, venti anni più tardi, al ruolo anche politico che Edelfelt gioca nella promozione dell’indipendenza della Finlandia dall’imperialismo russo. Allora L’Île de Särakkä, Helsinki (1894), che rappresenta un’isola tra i ghiacci in fase di sciogliersi, si impone come manifesto a favore dell’autonomia finlandese, essendoci sull’isola una fortezza costruita nel Settecento per difendersi dall’invasione russa. Oppure si pensi alla cantante di rune Larin Paraske, definita la «Mnemosyne finlandese» per il suo impegno nella trasmissione orale di antichi canti della tradizione finnica. Divenuta modello per la causa finlandese, Edelfelt la ritrae seduta su una roccia immersa nel verde: incantata e incantatrice.