Donald Trump non ha dubbi, se gli oceani sono destinati ad alzarsi, ha spiegato ai suoi sostenitori radunati a Anchorage, in Alaska: «Avremo più proprietà con vista mare». Per l’ex presidente degli Stati Uniti, di nuovo in pista per la corsa alla Casa Bianca, come per molti altri leader della nuova destra internazionale, il cambiamento climatico è del resto poco più che una battuta e le preoccupazioni conseguenti solo parte dell’offensiva di quello che hanno ribattezzato come «marxismo culturale».

Eppure, come invita a fare con estrema determinazione l’accurata indagine pubblicata nelle Vele di Einaudi da Francesca Santolini, Ecofascisti (pp. 106, euro 13), il rapporto tra questa composita area politica e l’ambiente sta conoscendo una rapida e non meno sinistra evoluzione. Diverse correnti di pensiero reazionario, sottolinea Santolini, sono infatti «passate dal negazionismo climatico, hanno attraversato l’interpretazione strumentale dei suoi effetti e sono approdate a rafforzare contenuti apertamente razzisti».

IN ALTRE PAROLE, se fino ad ora neoreazionari e estrema destra avevano derubricato l’allarme ambientale come l’ennesima provocazione dei progressisti, una sorta di versione green del politicamente corretto, di fronte alle evidenti e rapide trasformazioni climatiche in atto, hanno deciso di mutare strategia, individuando «un nemico» cui addossare ogni responsabilità e verso cui veicolare le crescenti inquietudini in tal senso diffuse nella popolazione. Ovviamente non si tratta né dei big dell’industria né dei responsabili degli allevamenti intensivi, bensì dei migranti. Rivisitando in salsa sovranista le retoriche del sangue e del suolo, è al ritorno ad un mondo fondato su «popolazioni unite da un’antica presenza sul territorio», come ha dichiarato Marine Le Pen, che si fa risalire anche il benessere ecologico, minacciato dalle «migrazioni di massa».

Preso atto di questo cambio di scenario nell’atteggiamento delle destre, che rimanda se possibile a posizioni ancor più radicali del recente passato, Francesca Santolini ripercorre la vicenda da un punto di vista storico, a partire da una precisa constatazione, vale a dire che in realtà «l’ecologismo di estrema destra» è tutt’altro che una novità: «risale dritto fino alla sua incarnazione su larga scala più aberrante, l’“ecologia nazista”, che impastò misticismo, esoterismo, teoria della razza e nazionalismo per promuovere la purezza del sangue a condizione indispensabile per la realizzazione di un vero equilibrio fra la terra e le comunità umane».

COSÌ, PROCEDENDO, via via, dal Blut und Boden del Terzo Reich e, ancor prima, dal dibattito intorno alle «virtù» ecologiche dell’eugenetica diffuso in tutto l’Occidente all’inizio del Novecento, fino all’ecobordering, definizione che si deve ai ricercatori britannici Turner e Bailey per indicare la volontà di «serrare le frontiere con l’alibi dell’ecologia», tesi sostenuta da diverse formazioni dell’estrema destra europea come lo Schweizerische Volkspartei e il Rassemblement National, e all’«ecologismo conservatore» di cui si parla negli ambienti vicini a Fratelli d’Italia, Santolini traccia un quadro della situazione attuale e ripercorre la genesi di idee aberranti e pericolose.

Non a caso, tra gli esempi citati in Ecofascisti ci sono anche le parole di Brenton Tarrant, lo stragista razzista di Christchurch, in Nuova Zelanda, che nel testo diffuso prima di uccidere quaranta persone e ferirne altrettante, aveva spiegato che «non c’è nazionalismo senza ambientalismo».