«È tutto vero», il confine sulla soglia per aprirsi verso il mondo
Itinerari L’opera di Lulù Nuti a Motta Filocastro, un site-specific che celebra l'ospitalità del luogo. Utilizzando cinque zerbini di bronzo sparsi nel borgo, l’artista dialoga col territorio
Itinerari L’opera di Lulù Nuti a Motta Filocastro, un site-specific che celebra l'ospitalità del luogo. Utilizzando cinque zerbini di bronzo sparsi nel borgo, l’artista dialoga col territorio
Casette incastonate tra loro, stradine tortuose piene di vegetazione, discese vertiginose, facciate in granito: è il tessuto urbano di Motta Filocastro, un delizioso borgo medievale (abitato da soli 120 residenti) arroccato sulle colline di Vibo Valentia, a 360 metri sul livello del mare, dove è spalmato il site-specific diffuso È tutto vero di Lulù Nuti ( Levallois-Perret, Parigi, 1988) a cura di ALTROVE – Vincenzo Costantino e Ehab Halabi Abo Kher. Il progetto fa parte della quinta edizione di «Una boccata d’arte», manifestazione d’arte che coinvolge 20 artisti, disseminati in venti borghi delle regioni italiane, promossa da Fondazione Elpis con la Galleria Continua e la partecipazione di Threes. Nasce nel 2020 durante la pandemia e intende promuovere l’incontro tra pratiche artistiche contemporanee e luoghi estranei alle mete turistiche.
Le origini di Motta Filocastro risalgono al VII-V secolo a.C. di cui le influenze greco-bizantine sono ancora oggi evidenti nella toponomastica e nell’architettura. Il suo massimo splendore fu raggiunto nella seconda metà del XI sec. sotto la dominazione normanna, quando il conte Ruggero d’Altavilla fece costruire un castello con dodici torri e fece cingere la città da alte mura.
Il graduale spopolamento dei borghi italiani, sempre più massiccio, non ha intaccato però la sua pelle, così che la visione di Lulù Nuti, artista poliedrica, sembra incastrarsi perfettamente col territorio. Lulù ha realizzato nelle stradine del borgo calabrese, le sue sculture pubbliche, pregne di emotività e identità. Concependo un lavoro «aperto» alla interazione con i cittadini locali e interpretando l’humus dell’ospitalità che caratterizza il luogo e particolarmente il Sud.
IL SUO SITE-SPECIFIC è inusuale, avendo installato cinque zerbini di bronzo (realizzati dai calchi di alcuni zerbini donati all’artista dagli abitanti del paese) sia all’ingresso che al fondo dei vicoli. Le opere attivano una duplice sensazione: arrivando dalla strada asfaltata, sembra di varcare una soglia che conduce al cuore del paese, e da esso, ci si proietta verso l’orizzonte che sfonda sul Tirreno. Lo zerbino dunque è solo un limine di apertura al mondo, una soglia che richiama il concetto di ospitalità racchiuso nella tradizione della xenia nell’antica Grecia.
Nuti è una delle più imprevedibili artiste della scena italiana, poichè aliena dai trend del momento ed è piuttosto interessata ad una sperimentazione scultorea complessa che prevede anche una liaison tra linguaggio e visione. Predilige infatti il riutilizzo di materiali e usa materie di scarto: «Nella società contemporanea lo scarto è il grande interrogativo e quindi è forse una delle cose più proiettate nel futuro», spiega. E aggiunge: «L’economia dei mezzi è la ricerca stessa. Se sono responsabile di ogni “oggetto” che metto al mondo, quell’oggetto deve essere, in qualche modo, essenziale».
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Post Ex, indagine sull’identità di uno spazio artistico condivisoCOME per le sue ultime creazioni: la scultura corporea e vertiginosa In my end is my beginning (2024) in ferro forgiato, in mostra a Palazzo Collicola di Spoleto (fino al 20 settembre) a cura di Spazio Taverna e in collaborazione con l’Osservatorio Gravitazionale Europeo, EGO e il laboratorio CAOS dell’Università di Perugia e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ed Egli danza, prima posizione (2023) ferro forgiato, all’ Ex Gazometro Roma Ostiense, fino al 30 ottobre 2024.
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