Europa

E la «trojka» si trasformò in «istituzioni»

Sbilanciamo l'Europa Dietro la trasformazione degli appellativi il trasferimento della questione greca dal piano tecnico-economico a quello politico

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 5 giugno 2015

Contrariamente a quanto ribadiscono le facili ironie di molti, il cambiamento di nome della controparte (da “trojka” a “istituzioni”) è uno dei grandi meriti di Alexis Tsipras in questi primi mesi di governo: dietro la trasformazione degli appellativi sta infatti il definitivo, esplicito trasferimento della questione greca dal piano tecnico-economico a quello propriamente politico, tramite il coinvolgimento al più alto livello della Commissione e dei governi di Francia e Germania (ché gli altri, incluso il nostro, contano poco o nulla).

Indipendentemente dall’esito della trattativa ancora in corso, questo passo è stato di estremo rilievo non solo in quanto ha ridato formale dignità alla parte (quella greca) originariamente destinata a fungere da inerte vittima sacrificale, ma soprattutto in quanto ha portato alla luce ciò che più di tutto, secondo gli eurocrati, doveva rimanere implicito o caché, ovvero il nocciolo problematico di tutta la costruzione della moneta unica: si tratta, come sostengono autorevolmente diversi economisti, di un sistema fisiologicamente destinato a reggersi sull’austerità, sulla svalutazione del lavoro, sulla distruzione del welfare, sulla disoccupazione crescente nei paesi deboli, e sulla soggezione assoluta ai dettami della Banca centrale, di fatto legibus soluta?
Oppure esiste un margine per un’evoluzione saldamente democratica dell’unione monetaria, financo uno spazio per politiche di sinistra non prone ai dettami del rigore già così tristemente sperimentato?

Questo dilemma è a ben guardare, il medesimo che assillava tutti noi che caldeggiammo il “no” a Maastricht nel lontano 1992, quando l’euro era ancora al di là da venire; ed è il medesimo esemplarmente dibattuto, proprio in relazione al caso greco, in un documentario di prim’ordine, che andrebbe visto da chiunque si interessi alle sorti del continente: “Il più grande successo dell’euro”, di Matteo Nigro e Francesca Cangiotti (liberamente accessibile su Vimeo). È proprio lungo la faglia di questo dilemma che si articola ora il dibattito all’interno del partito di maggioranza relativa in Grecia, un dibattito inopinatamente riattizzato pochi giorni fa dalla nomina al Fondo Monetario Internazionale dell’economista Elena Panariti, già deputata del Pasok, già attiva alla Banca Mondiale come aralda delle privatizzazioni e già ispiratrice delle disastrose riforme di Alberto Fujimori in Perù. La nomina, proposta dal ministro dell’economia Varufakis e apparentemente accettata senza discussioni dal Consiglio dei Ministri, ha generato un’ondata di indignato dissenso all’interno di Syriza, culminata nella stesura di un manifesto assai polemico di 44 parlamentari (più che sufficienti per insidiare la tenuta della maggioranza).

Ma il casus belli, per quanto significativo, nasconde in realtà la partita più importante, quella legata all’accordo con i creditori internazionali, i quali per ora continuano a esigere immediatamente un forte taglio alle pensioni (1,8 miliardi l’anno, contro la promessa di Tsipras di intervenire sulle sole pensioni-baby), un avanzo primario più basso di quello del precedente programma ma comunque destinato a salire rapidamente (1% quest’anno, 2% nel 2016: Tsipras propone 0,8 e 1,5), un deciso aumento dell’IVA, anche sull’elettricità (guadagno di 1,8 miliardi contro i 950 milioni della proposta greca, fondata su una ristrutturazione degli scaglioni), e il mantenimento delle leggi vigenti (quelle cioè del governo Samaràs) sul mercato del lavoro. A parole, poi, tutti i “grandi Paesi” salutano la proposta di Tsipras di aumentare il contributo di solidarietà per i redditi dai 30mila euro in su (esso raddoppierebbe sopra i 50mila euro, e triplicherebbe sopra i 500mila), ma di fatto – come osserva T. Piketty – le banche di quegli stessi Paesi accolgono con letizia i capitali dei ricchi Greci in fuga, senza minimamente aiutare il governo di Atene a stanarli e tassarli adeguatamente, combattendo l’evasione once and for all.

Dinanzi a questo “terzo memorandum” (palesemente immemore della pesante autocritica del FMI o dello stesso Juncker circa le conseguenze sociopolitiche dell’austerity in Grecia), il disagio dentro Syriza è forte: appare del tutto chiaro che la proposta presentata dai creditori internazionali non sarebbe mai votata dall’attuale Parlamento greco, e che Tsipras non intende nemmeno prenderla in considerazione come tale; già il solo fatto che Varufakis abbia ammesso di aver ormai accettato obtorto collo il 70% del memorandum tanto vituperato durante la campagna elettorale è oggi una buona ragione per lasciare a casa il ministro e cercare di ottenere nelle cancellerie europee un accordo che possa essere sbandierato in Grecia come una vittoria, placando così la fronda interna della Piattaforma di Sinistra, da sempre ostile nell’animo alla stessa permanenza nell’euro. Lafazanis, il leader della Piattaforma, esterna il sospetto che la tattica dilatoria delle istituzioni europee – mille volte accostata al supplizio di Tantalo o di Sisifo – sia diretta a spolpare ulteriormente l’economia greca e a ridurla in uno stato tale da toglierle ogni margine di azione o di contrattazione. In questo quadro, a minacciare nuove elezioni sono in tanti, e per i motivi più diversi (i “massimalisti” per fare pressione sull’Europa; l’entourage di Tsipras per ricevere un nuovo mandato popolare senza ricandidare gli eventuali dissidenti; gli alleati destrorsi di ANEL per ottenere un paio di punti in più); ma l’impressione è che si tratti piuttosto di posizionamenti e ballons d’essai, non di realistiche intenzioni.

La partita verrà decisa da due fattori: da un lato sta l’intelligenza politica di Tsipras, il quale fin qui ne ha dimostrata molta, compattando un rassemblement così eterogeneo attorno a un ideale chiaro, ma dovrebbe insistere nel trattare la questione greca non come faccenda regionale bensì nel quadro di una revisione generale del senso dell’eurozona (in questo, gli altri governi interessati, in primis il nostro, non lo aiutano); dall’altro lato, e con financo maggior peso, stanno le decisioni politiche dell’Europa e dei grandi Paesi, dal cui punto di vista un successo di Tsipras potrebbe rappresentare ulteriore legna al fuoco di Podemos e della riconfigurazione di un’Europa diversa; tuttavia un insuccesso, specie al termine di una trattativa così lunga, potrebbe avere conseguenze imprevedibili sull’intero sistema economico occidentale. Osserva il nonagenario Manolis Glezos, bandiera della sinistra greca e combattente in gioventù contro i nazifascisti, che nell’animo greco sin dall’antichità (basti pensare al celebre dialogo dei Melii e degli Ateniesi nelle Storie di Tucidide) è innato il germe della resistenza; e che oggi i Greci vogliono bensì rimanere all’interno dell’Europa e dell’eurozona, ma non tutto può essere legato alla forma o al nome di una moneta – molto di più dipende dai valori che essa trasmette.

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