Cultura

«Due culture», senza schematismi tra Galileo e Calvino

«Due culture», senza schematismi tra Galileo e Calvino

SAGGI A proposito dell'ultimo libro di Filippo La Porta e Giuseppe Mussardo

Pubblicato circa un mese faEdizione del 11 ottobre 2024

Filippo La Porta e Giuseppe Mussardo, umanista il primo e scienziato il secondo, hanno dato alle stampe per Mimesis il volume Due culture? Tra scienza e umanesimo (pp. 154, euro 17,50) in cui intendono fare il punto sulla mai risolta questione delle cosiddette «due culture», riprendendo il titolo del celebre saggio del 1959 di Charles Percy Snow, Le due culture, la cui traduzione italiana per Feltrinelli nel 1964 aveva una prefazione di Ludovico Geymonat. Con le due lauree, in filosofia e matematica, e la sua cattedra, la prima in Italia, in filosofia della scienza condivideva con Snow l’appartenenza a entrambe le culture, Geymonat scriveva: «Nessuno può essere, oggi, così cieco da non rendersi conto che l’esistenza di due culture, tanto diverse e lontane l’una dall’altra quanto la cultura letterario-umanistica e quella scientifica-tecnica, costituisce un grave motivo di crisi della nostra civiltà».

SNOW con un certo didascalismo e schematismo ideologico e con la proposizione di soluzioni talvolta semplicistiche, denunciava l’incomunicabilità tra scienziati e letterati. Nel dibattito innescato nel nostro paese dal saggio di Snow una delle voci più autorevoli e originali è stata quella di Italo Calvino, che riteneva la letteratura come complementare strumento di cognizione da affiancare alla scienza, e che dalla scienza poteva trarre una nuova strategia di osservazione, un mutato sguardo da gettare sulle cose e sul mondo.
In questo contesto una riflessione importante è stata quella del premio Nobel per la Medicina, Jaçques Monod, che nel suo saggio Il caso e la necessità, liberando il campo da ogni interpretazione finalistica e dimostrando l’impraticabilità di ogni forma di antropocentrismo, registrava la condizione di solitudine dell’essere umano nell’universo e approdava a una forma di «esistenzialismo scientifico» (in affinità con l’amico Albert Camus).

ANCHE CALVINO, la cui visione cosmica, affrancata da ogni ipoteca antropocentrica, lega il destino umano all’infinita catena della vita. Nel saggio Filosofia e letteratura (1967), Calvino ipotizzava per scienza, filosofia e letteratura una partita a tre, dove le varie discipline e le varie modalità conoscitive si confrontano: «una cultura all’altezza della situazione ci sarà soltanto quando la problematica della scienza, quella della filosofia e quella della letteratura si metteranno continuamente in crisi a vicenda».
Con Galileo la conoscenza si assolutizza in quella scientifica, l’unica forma di conoscenza reale diviene quella della scienza classica, astratta, dogmatica, meccanicistica. Tutte le altre forme di conoscere restano sue ancelle; per l’immaginazione o la creatività non vi è più spazio se si vuole raggiungere il vero sapere. Interrogato sul perché avesse definito Galileo come il più grande scrittore in prosa del canone italiano, Calvino delinea quella che lui ritiene essere la vocazione profonda della letteratura italiana dove lo scrivere venga mosso «da una spinta conoscitiva che è ora teologica ora speculativa ora stregonesca ora enciclopedica ora di filosofia naturale ora di osservazione trasfigurante e visionaria».

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